martedì 4 agosto 2015
​Nuove regole per la concessione della cittadinanza per chi è nato e cresciuto in Italia. Riguarda un milione di bimbi. In Aula dopo l'estate.
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Il primo passo è fatto. Il via libera in commissione Affari costituzionali del testo base sulla cittadinanza ai figli degli stranieri, sintesi di oltre 20 proposte di modifica alla legge 91/92 depositate a Montecitorio, riapre la speranza di avere tempi più brevi per diventare cittadini italiani, a particolari condizioni. Così, non conterà solo la discendenza da genitore italiano (ius sanguinis, diritto di sangue), ma anche la nascita sul territorio nazionale da immigrati con residenza tricolore da almeno 5 anni (ius soli soft, diritto di suolo temperato) e la conoscenza della nostra cultura (ius culturae). L’apprendimento sarà "certificato" dalla frequenza di almeno un ciclo scolastico nel nostro Paese per chi arriva e ha meno di 12 anni; mentre per i ragazzi tra 12 e 18 anni oltre a cinque anni di scuola è richiesta la permanenza stabile e regolare in Italia di almeno 6 anni. Potrà diventare italiano, inoltre, anche il minore che ha uno dei genitori, benché straniero, nato in Italia e qui «residente legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno» antecedente alla nascita del bambino.Queste le principali novità del testo unificato, messo a punto dalla relatrice Marilena Fabbri (Pd), approvato ieri in commissione alla Camera con i voti di Pd, Sel, Per l’Italia-Centro democratico, Scelta civica e Area popolare. Astenuto solo M5S, che attende di emendare in aula il testo attuando per ora la non belligeranza; mentre a votare contro Lega, che promette «un Vietnam, barricate permanenti», e Forza Italia, che ha visto dimettersi alcuni giorni fa la seconda relatrice del testo, la deputata azzurra Annagrazia Calabria, «per divergenze sul testo elaborato». Ora a settembre - salvo colpi di scena - comincerà l’esame in assemblea, anche se qui ci si dovrà aspettare più di qualche correzione, non solo dai grillini. Il Nuovo Centrodestra infatti ieri in commissione, pur avendo alla fine votato sì, ha mostrato più di qualche disappunto. «Nutriamo numerose riserve» la spiegazione del presidente dei deputati di Ap, Maurizio Lupi, soprattutto riguardo «l’automatismo tra nascita e diritto di cittadinanza» che dovrebbe essere rivisto «legandolo a un percorso formativo, una sorta di ius culturae».Il disco verde della commissione, comunque, è un traguardo importante. La soddisfazione è grande, ammette il deputato di Pi-Cd Gian Luigi Gigli, perché «finalmente anche nel nostro Paese sarà possibile ottenere la cittadinanza per i bambini nati e cresciuti in Italia». Il testo condiviso, continua difatti, garantisce che «i nuovi cittadini non saranno corpi estranei rispetto alla cultura del Paese che li ospita» e potrà favorire anche «una migliore integrazione dei genitori immigrati». Per ora, tuttavia, non cambieranno i tempi per la naturalizzazione (cioè per gli stranieri che arrivano in Italia da adulti e che devono attendere 10 anni prima di poter richiedere la cittadinanza); una discussione rinviata a tempi migliori, visto che l’abbassamento dei tempi di permanenza legale nel nostro Paese a 8 anni è un aspetto molto dibattuto. Accolta invece la richiesta di stralciare l’altro progetto di legge presentato dal gruppo Per l’Italia, riguardante la possibilità di riacquistare la cittadinanza italiana da parte di emigrati che l’avevano persa, anche senza tornare a risiedere qui. «In autunno chiederemo che la proposta - conclude Gigli - possa essere esaminata dalla commissione in sede legislativa, anche perché sottoscritta da 317 deputati di tutti i partiti».A plaudere a «un traguardo di civiltà per i minori che si avvicina» è anche il Pd, che ora chiede di «cercare il massimo consenso possibile - dice Khalid Chaouki, il coordinatore intergruppo cittadinanza - quando in autunno il provvedimento arriverà in aula». Il testo è «frutto dell’arroccamento ideologico del Pd» tuona invece la ex relatrice di Fi, Annagrazia Calabria, che promette opposizione dura in aula, perché «siamo convinti che la cittadinanza non è uno strumento di integrazione».

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