sabato 24 settembre 2016
I due leader a Berlino con Juncker e gli industriali Ue. Il premier italiano si batte da solo contro l'austerity.
Merkel e Hollande, vertice senza Renzi
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​L'onda lunga di Bratislava non si ferma e continua a rendere inquieti i rapporti tra Renzi, Merkel (e Hollande) e la Ue. E così un appuntamento fissato mercoledì prossimo a Berlino tra la cancelliera tedesca, il presidente francese e Juncker diventa l’ennesimo caso politico. Il premier italiano non è invitato e sembra una "ripicca" per quanto accaduto all’ultimo vertice europeo a 27, quando Renzi non partecipò alla conferenza stampa finale insieme ai leader di Germania e Francia in segno di protesta per l’inconcludenza della riunione su immigrazione e crescita.La notizia agita il pomeriggio di Roma. Informalmente partono da Palazzo Chigi richieste di chiarimento, dato che, specie dopo la kermesse di un mese fa a Ventotene, sembrava essersi consolidato un direttorio a tre. Poco dopo da Bruxelles e Berlino arrivano parziali rassicurazioni. L’incontro di mercoledì è un tradizionale faccia a faccia con i leader dell’industria europea (European round table of industrialists) «e Juncker vi partecipa da tre anni», spiega il portavoce del presidente della Commissione. «È un incontro assolutamente ordinario – fa eco il portavoce di Angela Merkel –, si discuterà di innovazione, competitività e digitalizzazione». E la conferma arriverebbe dalla partecipazione del commissario Ue competente, Gunther Ottinger. Insomma, almeno formalmente non si affronteranno i dossier caldi che stanno a cuore a Roma: crescita e immigrazione.Il timore però che Renzi possa essere estromesso dai tavoli ristretti che orientano le decisione Ue è vivo. Lo stesso premier, in un’intervista rilasciata al Washington post, mette nero su bianco una frase sibillina: «Il problema è se la Germania accetterà o meno» che l’Italia prenda il "posto" della Gran Bretagna nel gruppo di testa dell’Ue. Da un lato si conferma che il pallino lo tiene Berlino. Dall’altro, però, sembra un avviso: Roma non resterà incastrata nelle dinamiche elettorali tedesche e francesi ed è pronta a proseguire in autonomia sui filoni che ritiene prioritari, ovvero la scelta di tenere le spese per immigrazione, scuola e sisma fuori dal computo del deficit.«Le politiche di austerity non servono e fanno male, il modello è Obama», ripete d’altra parte Renzi in ogni sede. E lo ha ripetuto anche ieri nel suo tour in Emilia Romagna. Ducati, Lamborghini e Philip Morris le aziende visitate ieri. E ovunque parole di miele per «chi investe e lavora», portando in Italia i tanto sospirati capitali esteri. Visite che risultano significative nel giorno in cui viene constatata la perdita di un quinto della produzione industriale dal 2007 a oggi.Ovviamente il passaggio in Emilia Romagna crea un collegamento diretto con l’altro fronte della giornata del premier: il piano per la ricostruzione dei borghi devastati dal sisma (presentato ieri mattina insieme al commissario Vasco Errani). «Qui siete ripartiti», sprona Renzi ricordando i danni del terremoto del 2012. E ne approfitta per ribadire alcune delle misure della prossima legge di Bilancio, che potranno essere utilizzate anche da chi deve rimettere in piedi la casa nel Centro Italia: la conferma dell’ecobonus al 65 per cento e del bonus del 50 per cento per gli adeguamenti sismici anche per il 2017.In generale, però, i difficili rapporti con Merkel e Juncker gettano ombre sulla prossima manovra. In serata il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, al Tg1, afferma chiaro e tondo che «non c’è nessun confronto con l’Ue sulla flessibilità per il prossimo anno. L’abbiamo usata perché ce la siamo meritata con le riforme. La flessibilità non c’è, ma andiamo avanti a usare nel modo migliore, concentrandole sugli investimenti, le poche risorse pubbliche disponibili». È un cambio di schema rispetto agli anni passati: niente flessibilità, ma lo scorporo diretto dal deficit dalle spese indicate dal governo italiano (circa 7-8 miliardi di euro, a quanto pare) sulla gestione dei migranti, ricostruzione post-sismica ed edilizia scolastica. Alla fine l’effetto sui conti dovrebbe essere lo stesso: l’Italia avrebbe dei soldi in più da spendere, ma l’Europa non dovrebbe contravvenire alle sue regole. Padoan si dice anche «ottimista» circa la revisione delle stime sul Pil, oggetto dopodomani della revisione del Def. A suo parere, l’obiettivo dell’1 per cento (o giù di lì) nel 2016 non è ancora svanito.
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