sabato 26 settembre 2015
Prima bozza e pochi fondi: c'è solo un miliardo. Nuclei incapienti, 150 euro al mese per minore.
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Nella manovra da 27 miliardi in cottura tra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia, famiglia e poveri non sono la priorità. Prima ci sono la casa, le decontribuzioni sul lavoro, le pensioni. Ma stavolta, a quanto trapela dagli uffici che stanno mettendo le mani sul testo, sul capitolo del disagio sociale non sarà messa la solita cifretta simbolica ma risorse più corpose, tra gli 800 milioni e un miliardo.  Non tanto, uno stanziamento appena sufficiente per iniziare a dare qualcosa agli incapienti e ai redditi bassissimi. Nelle ultime riunioni, specie dopo il vertice tra Alfano e Padoan, si è iniziato a parlare anche dei dettagli, della platea e delle modalità operative con cui distribuire queste risorse. L’idea è quella di mettere al centro i figli, di dare un bonus collegato al numero di minori presenti in casa. L’ipotesi è che si possano dare 150, massimo 200 euro al mese per ogni ragazzo di una famiglia che ha reddito zero. La somma diminuirebbe  progressivamente per i nuclei familiari che invece hanno qualche fonte d’entrata. Il numero di persone coinvolto sarebbe comunque esiguo rispetto alla fascia dei bisognosi del Paese, così come sarebbe molto basso il tetto di reddito oltre il quale non si percepisce il bonus. La logica, spiegano fonti del governo, è individuare una platea ristretta per non disperdere le risorse con cifre pro capite irrisorie.  Su questi punti, ammettono anche al ministero del Welfare, bisogna lavorare e affinare ancora molto. Ma il principio, la presenza di figli, pare essere stato individuato e condiviso anche dal premier. Certo, l’intervento non ha nulla a che vedere con il Reddito d’inclusione sociale (Reis) proposto dall’Alleanza contro la povertà, che vale 7,5 miliardi a regime. Ed è distante anche dal 'family act' presentato a Padoan da Area popolare, anch’esso del valore di oltre 7 miliardi all’anno (anche se Alfano e Lupi avevano fatto intendere la disponibilità a iniziare il percorso con cifre intorno ai 2 - 2,5 miliardi). Va da sé che questa misura non ha alcuna affinità con il Reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, misure strutturale di sostegno al reddito per 9 milioni di cittadini (quasi 3 milioni di famiglie sotto la soglia di povertà per un esborso di circa 17 miliardi). Il cuore della manovra, come detto, è altrove. Blindati i 4,5 - 5 miliardi per abolire la Tasi e l’Imu sulla prima casa, sui terreni agricoli e sugli imbullonati, le altre grosse spese previste dal governo sono quelle per finanziare la decontribuzione dei nuovi contratti di lavoro (con attenzione al Sud e alle donne), un credito d’imposta per le aziende meridionali, l’intervento sull’uscita anticipata dal lavoro (mercoledì Poletti ha convocato un vertice che si annuncia decisivo), la questione-esodati, la ripresa della contrattazione nella pubblica amministrazione. Voci pesanti, cui vanno aggiunte le spese indifferibili, per un ammontare di 27-28 miliardi che può andare in porto solo se l’Ue concederà per intero la flessibilità sul deficit richiesta dall’Italia. I rapporti Roma - Bruxelles, in questo senso, sembrano tendenti al sereno. E, paradossalmente, diverse fonti governative fanno notare come il caso Volkswagen abbia aumentato la forza negoziale dell’Italia: la Germania, stavolta, è in una posizione difensiva e potrebbe essere meno propensa a fare le pulci ai nostri conti nazionali. Tra l’altro Renzi, il 15 ottobre, alla Commissione vuole mandare due mail: una con la legge di stabilità, l’altra col nuovo testo della riforma del Senato - quella che poi dovrebbe passare gli ultimi vagli parlamentari ed essere sottoposta a referendum -, vero test di credibilità del suo esecutivo.
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