mercoledì 3 febbraio 2016
​Gli esperti sul ddl Cirinnà: eliminare le ambiguità, un conto sono le unioni, altro i diritti dei minori.
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Anche se si chiudesse la porta della stepchild adoption, il portone all’adozione potrebbe aprirsi per via di un altro articolo del ddl Cirinnà, il numero 3 (vedi box), dove viene esclusa l’applicazione della legge sull’adozione. Ma solo relativamente a un capo, non a quello che contiene l’articolo 44, sulle adozioni in casi speciali. Sul tema abbiamo sentito tre esperti. «Se davvero si vuole escludere l’adozione, quella dell’articolo 3 non è la formulazione più chiara e tranquillizzante. Diciamo che non è automatico, ma è un viatico. Attraverso l’equiparazione con il matrimonio che viene determinata, si potrebbe invocare, paradossalmente, una discrimi- nazione lesiva del principio di uguaglianza», spiega il costituzionalista Mario Esposito, ordinario all’Università di Lecce e firmatario dell’appello del Centro Studi 'Rosario Livatino' contro il ddl Cirinnà. Il gioco, insomma, non è «scoperto», ma per via «di induzione di un effetto sistematico » ci si arriverebbe, argomenta il giurista. Esposito, più in generale ribadisce come ci sia nel ddl una «confusione terribile» nel metodo. «Un conto è la disciplina dei rapporti patrimoniali e personali, altro è surrogare il rapporto di filiazione naturale. Tanto vale eliminare ogni ambiguità e separare rigorosamente le due questioni», conclude. «Lo stralcio sarebbe più prudente. La questione verrebbe, però, ripresa nell’ambito di una modifica della legge sulle adozioni. Ma il grosso passo è l’unione, una volta che la legittimi... È un circolo vizioso», argomenta. Claudio de Angelis, fino a pochi giorni fa procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma. Il magistrato mette in campo il «superiore interesse del minore», che l’ordinamento italiano in via di principio tutela. «Lo invoca, giustamente dal punto di vista umano, pure chi vuole mantenere lo status quo di un minore in una famiglia omosessuale. Peccato che in natura ci siano un papà e una mamma. E la psicologia moderna ci insegna il concetto di bigenitorialità». De Angelis è l’autore nel 2014 del ricorso contro la prima sentenza di adozione in casi particolari per due donne sposate all’estero, una delle quali aveva concepito con fecondazione assistita, sentenza confermata in Appello (con possibile ricorso in Cassazione). «La mia principale obiezione, che è il succo della questione, è che l’adozione riguarda necessariamente ipotesi di abbandono». Mentre è stato presa a modello l’ipotesi, considerata più vicina, di una ragazza madre che si sposa e il cui marito adotta il figlio. «Lo spirito di questa norma è chiaro: l’interesse del figlio ad avere padre e madre. Che bisogno c’è, invece, di far diventare madre la partner femminile, se non l’interesse della coppia omosessuale a coronare con un figlio l’unione?». «Prima vengono i diritti dei bambini che sono abbandonati, mentre non lo sono i minori che vivono in 529 coppie omosessuali. E la disciplina giiuridica già permette di sistemare i loro casi in poco tempo», afferma Marco Griffini, presidente dell’associazione Amici dei bambini. Griffini parla di «dibattito strumentale che interessa solo pochi adulti » e invita il governo a dedicarsi piuttosto «ai 35mila minori che in Italia vivono fuori da una famiglia ». Il presidente dell’Aibi punta il dito anche sull’impatto negativo che avrebbe sulle adozioni internazionali l’introduzione di quella agli omosessuali. Già la Russia, ricorda, ha chiuso per questo motivo i canali con Usa, Francia e Spagna (con la quale li ha poi riaperti con precise limitazioni). C’è poi l’Africa, con il celebre caso del Congo, che ha bloccato alcune famiglie italiane con bimbi già adottati. Anche in quel caso fu l’adozione di un single, poi rivelatosi essere un omosessuale con partner, a causare la reazione.
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