giovedì 19 maggio 2016
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La battaglie (sbagliate e no) di Marco Pannella
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Giacinto Pannella, per tutti Marco, non morde e non graffia più. Non sproloquia, non insulta, non commuove, non polemizza, non digiuna, non fuma più («aspirandoli», precisava sempre) i suoi sessanta toscanelli alla grappa giornalieri, intervallati da miriadi di sigarette. Il «vecchio leone», come amavano chiamarlo amici e simpatizzanti, ha concluso la sua corsa. E anche chi amico non gli è mai stato, né simpatizzante, anche chi gli è stato fermo avversario può, adesso, rendergli l'onore delle armi. Armi, quelle di Pannella, appuntite e affilate al fuoco di una forza dialettica fuori dal comune, nonché di una straordinaria capacità – almeno per un certo periodo – di cogliere l'attimo giusto per saltar fuori, per fare notizia. Con quelle armi ha organizzato le sue campagne, insieme a Emma Bonino e alla testa di un piccolo esercito di fedelissimi che si sono avvicendati in oltre sessant'anni di attività politica. Molti infatti hanno cessato di essergli fedeli per via del suo carattere per niente facile, tanto che più di una volta gli è toccato il paragone (senz'altro abusato ma nel suo caso azzeccato) di novello Saturno che divora i suoi figli. Da ultimo, malgrado la comune lotta contro la malattia, era andato in frantumi perfino lo storico sodalizio politico, ma non l'affetto reciproco, con Bonino. Molte cose gli deve la società italiana e tutte, o quasi, almeno discutibili. Aborto e divorzio erano le due "medaglie" che si era appuntato al petto tra il 1974 e il 1981 e non aveva più tolto, anche perché frotte di vecchi marpioni e parvenu della politica nostrana accorrevano a lucidarle alla prima occasione utile, preferibilmente elettorale. E poi l'"antiproibizionismo", ovvero l'idea di rendere legali le droghe cosiddette "leggere", l'eutanasia, la ricerca sugli embrioni umani, le nozze gay... Non c'è stata battaglia divisiva, in grado di lacerare il Paese nel profondo, che non l'abbia visto protagonista. Ancora, a Pannella va addebitato l'abuso di un fondamentale strumento di democrazia come il referendum popolare. E il ricorso allo sciopero della fame e della sete come arma di pressione politica, fino al limite del ricatto morale. Durante uno degli ultimi, due anni fa, papa Francesco gli telefonò, preoccupato per la sua salute: per quel che se ne sa, parlarono per una ventina di minuti di un argomento che stava a cuore a entrambi, ovvero la situazione nelle carceri e le condizioni dei detenuti. E non sarebbe stata, quella, la sola telefonata amichevole del Pontefice argentino a Pannella. Le carceri, si diceva. Sì, perché lui era anche quello con il "pallino" della giustizia e dello Stato di diritto. E poi quello del federalismo europeo sognato da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli; quello dello sguardo aperto sul Medio Oriente e sulle crisi globali quando la geopolitica da noi era roba per pochi addetti ai lavori; quello delle campagne contro la pena di morte nel mondo; quello della circolazione delle idee per sconfiggere fanatismi, dittature, autocrazie; quello della lotta non violenta (gli piaceva dire "grande Satyagraha", forse per sentirsi un po' come Ghandi) malgrado le sue non infrequenti esplosioni di violenza verbale, magari dai microfoni della "sua" Radio Radicale, specialmente durante le leggendarie dirette della domenica pomeriggio con Massimo Bordin. Era quello che si sgolava contro la "partitocrazia" quando i partiti in Italia facevano il bello e, troppo spesso, il cattivo tempo. Arrivava prima di altri. Magari lo faceva male, con idee e modi sovente detestabili, ma lo trovavi già lì. Con effetti di cui, in qualche caso, paghiamo ancora le conseguenze. La personalizzazione della politica, per esempio, da noi l'ha portata lui, altro che Silvio Berlusconi. A 25 anni fu tra i fondatori del Partito radicale, ma fin dai primi anni 70 l'identificazione divenne pressoché totale: Pannella era i radicali, i radicali erano Pannella. E nel 1992, due anni prima delle elezioni che videro trionfare l'allora Cavaliere (con l'appoggio anche degli stessi radicali), diede vita direttamente a una lista con il suo nome: la Lista Pannella, appunto. Adesso è normale trovare sulla scheda i cognomi nei simboli di partito, ma allora fu una novità assoluta. Prese appena l'1,2% ma, grazie al proporzionale puro, 7 deputati. Nel '99, poi, fu eletto all'Europarlamento con un'altra lista personale, quella di Emma Bonino. Con l'avvento della cosiddetta seconda Repubblica e del bipolarismo muscolare, lui che ha sempre teorizzato il bipartitismo all'americana e sostenuto il sistema elettorale maggioritario uninominale, flirtò di volta in volta con il centrosinistra e con il centrodestra, finendo però per sentenziare che da una parte c'erano "i buoni a niente" e dall'altra "i capaci di tutto". Per non parlare della spettacolarizzazione. Ha fatto di tutto. Nel 1978 si presentò a Tribuna elettorale (e con lui Bonino, Mellini e Spadaccia) imbavagliato, con appeso al collo un cartello contro la Rai. Nel dicembre del 1995, travestito da Babbo Natale ma in giallo (altrimenti non sarebbe stato Pannella), lanciò delle dosi di hashish in una piazza Navona affollatissima. Nel '97 si ripeté in diretta tv su Raidue. E qualche anno dopo, durante uno dei suoi tanti scioperi della fame e della sete, arrivò a bere la sua urina, pratica poi ripetuta altre volte. Negli anni 80, per sfidare a modo suo la «dittatura partitocratica», lo «Stato criminale», «il fascismo degli antifascisti» e via pannellando, riuscì a portare a Montecitorio il "cattivo maestro" dell'Autonomia operaia Toni Negri (che poco dopo fuggì in Francia per evitare di tornare in prigione) e la pornoattrice Ilona Staller. Ma in quello stesso periodo fece anche diventare eurodeputato Enzo Tortora, vittima di uno dei più vergognosi casi di malagiustizia nel nostro Paese. Pannella era liberale, liberista, libertario, libertino, però non dimenticava mai di definirsi anche socialista, chiamava "compagni" i suoi e aveva ottenuto da François Mitterand di usare come emblema la rosa nel pugno del Psf fin dal 1971 (quando Bettino Craxi ridisegnò il simbolo del Psi, nel '78, dovette perciò accontentarsi di un garofano). Era ferocemente anticlericale, ma amava raccontare di uno zio monsignore suo omonimo. «Vado dalle mie suorine», diceva quando stava male: si ricoverava infatti sempre nella casa di cura Nostra Signora della Mercede in via Tagliamento, dove ha dato anche l'addio a questo mondo. E appena poteva tirava fuori la foto del 1986 che lo ritrae, insieme a Emma Bonino, mentre stringe la mano di Giovanni Paolo II. Quel Pontefice, oggi santo, di cui subito dopo l'elezione al soglio di Pietro, Pannella disse: «Dio ce l'ha dato, guai a chi me lo tocca». Anche questo rientra nell'incoerente coerenza (questa, scommettiamo, gli sarebbe piaciuta) di Marco Pannella. «Se fosse dipeso da lui, sarebbe morto a Pasqua», commentava ieri una collega parlamentarista di lungo corso. O forse non sarebbe morto mai, come dimostra il fatto che, a dispetto di tutte le campagne per l'eutanasia, è rimasto attaccato alla vita fino al suo termine naturale. E, finché ha potuto, sorridendo.

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