martedì 28 aprile 2015
Bocciate le pregiudiziali. Proteste in aula all'annuncio di Boschi. Renzi: "Finché sto qui provo a cambiare l'Italia". Bersani e Letta: non la votiamo.
LA SCHEDA Ecco la nuova legge elettorale
Italicum, il governo oggi alla fiducia
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Attende il responso sulle pregiudiziali dal segreto dell’urna che gli concede un consenso sufficientemente ampio per l’avvio dell’Italicum nel suo studio a Palazzo Chigi. Il risultato dell’aula di Montecitorio sembra offrire sicurezza al governo. E però Matteo Renzi ha già in mente il suo piano. In fondo non si fida. Un piccolo incidente di percorso (sulle soglie o sull’apparentamento), potrebbe mandare tutto in fumo. Di lì a poco, allora, convoca un Consiglio dei ministri e rispedisce Maria Elena Boschi in aula per annunciare la richiesta del voto di fiducia. La protesta è assicurata. La miccia fa esplodere la bomba, mentre il presidente del Consiglio, sempre dal suo studio, inizia a twittare le ragioni del suo gesto. Un atto «politico» contro quella minoranza dem convinta di non poter legare la vita dell’esecutivo all’approvazione della nuova legge elettorale. Ma il premier ha messo sul piatto l’incarico e scrive: «La Camera ha il diritto di mandarmi a casa, se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia».L’esecutivo è sempre stato legato alla realizzazione delle riforme, ricorda agli italiani in rete. «È arrivato il momento di fare sul serio. Dopo anni di rinvii possiamo finalmente restituire dignità alla politica: la legge elettorale è a un passo dal traguardo. Non potevamo accettare altri rinvii. Adesso noi ci prendiamo le nostre responsabilità a viso aperto». Insomma, «cambio l’Italia o vado a casa, non sono attaccato alla poltrona», ma «la minoranza rispetti le decisioni della maggioranza altrimenti è anarchia», dichiara più tardi al Tg1, ripetendo ancora che «non c’è cosa più democratica di mettere la fiducia: se passa, il governo va avanti altrimenti va a casa».Solita determinazione, che fa a cazzotti, però, con il trambusto che va in scena in aula alla Camera, dove con tono solenne, di prima mattina, la presidente Laura Boldrini si rivolge all’assemblea per ricordare che «come sapete, non è una mattinata ordinaria». In effetti di lì a poco l’emiciclo si trasforma in un terreno di battaglia, per la verità già visto troppe volte, ma come si riserva alle grandi occasioni. Per il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, il governo deve capire «se andrà avanti fino al 2018». Ma le opposizioni insorgono e la minoranza democratica va in frantumi, avvertendo forte lo "schiaffo" del segretario del Pd. L’idea della fiducia sulla legge elettorale non va giù. Bersani insorge e (come Enrico Letta) si prende qualche minuto per capire come muoversi e marcare le distanze: fuori dall’aula perché «sulla democrazia un governo non mette la fiducia». Da Fi il capogruppo Renato Brunetta parla di «fascismo renziano». E però, dietro le quinte, è appena stato accusato dai suoi di aver fornito l’assist al governo, con la richiesta del voto segreto. Il presidente dei deputati azzurri si accalora in una protesta dai decibel alle stelle. A Forza Italia il ministro Boschi rinfaccia di aver votato a favore dello stesso testo al Senato. Sel lancia crisantemi dai banchi per il «funerale della democrazia». Insulti e accuse si sovrappongono, con i Cinquestelle che non trattengono epiteti volgari, anche alla volta della presidenza. La battaglia che vuole essere per la democrazia avviene in un caos che la stessa Boldrini fatica a controllare.Poi, a metà pomeriggio, i riflettori si spengono e i capigruppo mettono a punto il calendario. Dal palazzo accanto a Montecitorio, Renzi preme perché si chiuda al più presto. L’idea è quella di arrivare venerdì all’inaugurazione dell’Expo con un’altra pratica chiusa. Ma i tempi si allungano. Ci sono tre voti di fiducia da passare e le opposizioni annunciano una serie di ordini del giorno, sui quali non si possono tagliare i tempi. Oggi l’aula si pronuncerà sul primo articolo della legge elettorale. Domani sul secondo e sul quarto per le tre fiducie in programma. E il voto finale, senza fiducia, probabilmente slitterà alla prossima settimana. Ma, secondo i calcoli di Palazzo Chigi, non ci dovrebbero essere sorprese neppure questa volta.
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