venerdì 27 febbraio 2015
​Ma i consulenti finanziari avvertono: ecco perché molti lasceranno i soldi dove sono.
COMMENTA E CONDIVIDI

Cade un altro segreto bancario, quello del Liechtenstein. Dopo lo storico accordo con la Svizzera, tocca ora al Principato, tra le ultime roccaforti europee, siglare un accordo con l’Italia per lo scambio di informazioni fiscali. Il Paese esce così dalle 'black list' degli Stati 'non collaborativi'. In pratica, il percorso di rientro dei capitali, così come previsto dalla legge approvata in Italia a fine 2014, viene reso più agevole e quasi 'obbligato' se non si vuole incappare nei controlli, ora molto più probabili e stringenti, del Fisco italiano. L’intesa è stata siglata questa volta a Roma, tra il ministro Pier Carlo Padoan e il primo ministro e titolare delle Finanze del piccolo stato, Adrian Hasler. Lo scambio di informazioni sarà per il momento su richiesta, così come con Berna, ma i ministri hanno firmato anche una dichiarazione congiunta di carattere politico per confermare il reciproco impegno ad applicare lo scambio automatico di informazioni dal 2017. Un Protocollo aggiuntivo disciplina inoltre le richieste di gruppo. I residenti nel Principato godono oggi di una tassazione compresa tra un minimo del 3,5% e un massimo del 28%. Ora, a breve è attesa un’intesa anche col Principato di Monaco.

Il ministro Padoan era stato prudente. «A bilancio questo accordo è postato un euro, ma azzardo una previsione: sarà più di un euro ». Fonti finanziarie svizzere stimano in circa 100 miliardi di euro la capienza dei conti riconducibili a cittadini italiani. Ma la stragrande maggioranza deciderà di non riportare in Italia neanche un cent. Le previsioni che circolano tra gli addetti ai lavori vanno dai 5 a 6,5 miliardi di euro. Non di più.  Meglio non illudersi. La maggioranza degli evasori ha fatto due conti: conviene scendere a patti con il fisco, pagare il balzello per i capitali nascosti all’estero, ma poi lasciare i soldi al di là delle Alpi. Dalla sede svizzera della Kpmg, la società internazionale di consulenza finanziaria sta suggerendo alla numerosa e danarosa clientela di mettersi in regola, pagando al fisco italiano quanto dovuto. Una scelta, però, che non comporta l’obbligo di far sloggiare i capitali. Dopo l’accordo Italia-Svizzera per un conto bancario con una capienza media di 2,5 milioni per oltre dieci anni, il costo della regolarizzazione viene stimato nella misura dell’11% mentre, senza l’accordo, sarebbe arrivato al 31%, comprese penalità e interessi. «C’è ampio spazio – osservano e auspicano alcuni mediatori creditizi di Lugano – per continuare a detenere capitali dichiarati in Svizzera». L’avvocato luganese Carlo Bernasconi ha spiegato che «molti contribuenti aspettavano la firma dell’accordo per confermare agli intermediari il mandato per aderire alla 'voluntary disclosure'. È rimasto solo qualche irriducibile che tenta di spostare i soldi a Londra, o nei nuovi paradisi fiscali in Serbia, Montenegro, Slovacchia e Slovenia ma non ci riesce perché gli intermediari sono diventati estremamente prudenti per evitare le sanzioni del concorso in autoriciclaggio». Peraltro permettere una chiusura 'cash' dei conti per trasferire le giacenze in un altro Paese estero può comportare per la banca elvetica l’accusa di concorso nel reato di autoriciclaggio. In altre parole agli evasori non conviene fuggire di colpo dalla Svizzera, ma neanche riportare i quattrini tutto d’un colpo negli istituti di credito italiani.  «L’emersione da un punto di vista fiscale è già un ottimo risultato. Da questo a dire che i capitali torneranno in Italia, ne passa». E se lo di- ce Giovanni Pontiggia, presidente della Bcc di Alzate Brianza, c’è da credergli. Il suo istituto ha a che fare con centinaia di frontalieri e imprese con interessi oltre confine. «Se uno tiene il suo denaro in una banca svizzera, a prescindere dalla regolarizzazione - ha osservato Pontiggia - non è detto intenda farlo rientrare in Italia». C’è sempre l’alternativa Panama, «l’unica vera piazza finanziaria che non ha sottoscritto l’accordo. È una situazione problematica – dice il direttore del centro per le politiche fiscali Ocse, Pascal Saint-Amans – su cui è probabile che si vada verso misure di ritorsione da parte del G20, dato che c’è un rischio sistemico sui capitali».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: