sabato 20 dicembre 2014
«​Serve un nome con più alto consenso», ma quota 504 «non è fallimento».  
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Dopo l’annuncio di Giorgio Napolitano delle sue dimissioni «imminenti» la trattativa entra nel vivo. Ed infatti nomi non se ne fanno più, prevale evidentemente il timore di bruciare il candidato vero, che - sono convinti in molti - Matteo Renzi ha già in mente e naturalmente si guarda bene dal far trapelare. Il premier ha detto alcune cose ieri. Ha detto di auspicare un presidente «eletto con il maggior numero di voti». Li nomina tutti, «da Forza Italia fino a 5 Stelle, Sel, Fdi, Lega, centristi e naturalmente il Pd che ha tanti delegati, dovranno fare una riflessione vera su cosa serve all’Italia per i prossimi sette anni», auspica Renzi. Poi però dice anche l’esatto contrario: «Considererei un fallimento se non si eleggesse il Presidente della Repubblica. Che arrivi al primo giro, al quarto giro, al settimo giro non è questo il punto, non è se arriva con la maggioranza qualificata o meno». Mettendo insieme le due cose il premier - all’indomani delle ricostruzioni che hanno parlato di un ritornato asse con Berlusconi che si riserverebbe un diritto di veto - il messaggio di Renzi appare un modo per divincolarsi, negando patti a due e ricordando a tutti che il Pd ha i numeri per fare -quasi - da solo puntando a quota 504. Quasi, ricordando i precedenti, che inducono quella che è considerata la persona più vicina al presidente uscente, Emanuele Macaluso, a vedere nero: «Temo elezione più caotica di sempre», pronostica l’ex dirigente del Pci. L’obiettivo di Renzi, ora, è soprattutto tranquillizzare il suo partito, che non si farà dettare i nomi dall’esterno da nessuno, e per il Colle non ci sarà nessun patto del Nazareno. Dunque il nome se dovrà venire dal Pd, non dovrà essere un renziano di stretta osservanza. Tuttavia, anche se Renzi ha provato a coinvolgere tutti, con l’aria che tira fra il Quirinale e M5S l’evocazione dei Grillini può suonare solo come un appello ai dissidenti a farsi avanti, mentre un’intesa concreta al momento è ipotizzabile, realisticamente, solo con Ncd e Forza Italia. Dunque a restringere ancora l’identikit potrebbe trattarsi di un non renziano, sì, ma anche non un ex-ds. Un esponente, in ogni caso, che possa essere 'digerito' anche in area moderata. Chiude i giochi sul suo nome Romano Prodi, che sconta - al di là dell’autorevolezza del nome - due difficoltà, quella già riscontrata a ricompattare il Pd e quella non minore a cercare voti fuori dal partito, essendo stato più volte il diretto antagonista diretto del centrodestra e di Berlusconi. «Io candidato? L’’ho già detto mille volte...», sbotta l’ex premier e fondatore dell’Ulivo. «No a scelte esclusive del Pd», chiede Angelino Alfano. »Una persona che conosca le istituzioni e sia consapevole dei compiti», auspica il leader del Ncd, bocciando così l’ipotesi dell’uomo di cultura che pure era stata fatta. E Maurizio Lupi bocca anche il metodo della terna indicata tutta da un partito, che infatti Renzi evita in tutti i modi di fare o far trapelare. Il profilo che indica 5 Stelle, con Luigi Di Maio è una persona «diametralmente opposta a Napolitano », col che però non fa altro che confermare l’idea che difficilmente i Grillini saranno della partita. Si tiene coperta, invece, Forza Italia, il cui ruolo è fra i più delicati nell’operazione. Ma per Berlusconi dovrà essere «conseguenza logica» del Patto del Nazareno », per cui, avverte, «non potrà essere eletto un Capo dello Stato che a noi non sembri adeguato all’alta carica istituzionale che deve ricoprire perchè non è una garanzia per tutti». Si tira fuori invece Matteo Salvini: «Non sono interessato, ma basta che non arrivino rottami».
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