martedì 20 ottobre 2015
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Nella Legge di stabilità c’è anche una nuova sanatoria dei centri scommesse illegali, circa 5mila. Una 'sanatoria bis' dopo quella prevista nella precedente Legge di stabilità, che non raggiunse gli obiettivi previsti: su 7mila si calcolava un’adesione di 3.500. ma si arrivò ad appena 2.195, incassando 117 milioni invece dei 187 previsti. E così ora si riprova, prolungando i termini di quella di un anno fa. Una grave marcia indietro rispetto alle motivazioni che il governo aveva messo nero su bianco per giustificare quella del 2014. E che ricorda molto altre sanatorie, quelle dei tanti condoni edilizi. Ogni volta si diceva 'sarà l’ultimo' tranne poi rifarne un altro. E così è accaduto per i Ctd (i centri di trasmissione dati) che operano la raccolta di scommesse senza concessione e collegati a server all’estero. Alcuni finiti anche in inchieste sugli affari di camorra e ’ndrangheta proprio sulle scommesse. E, guarda caso, proprio alcuni imprenditori dell’azzardo legati ai clan calabresi, erano molto interessati alla riapertura della sanatoria.  Questo nuovo 'regalo' ad azzardopoli è contenuto nel comma 3 dell’articolo 69 del testo, ancora non ufficiale ma ampiamente accreditato. «Ai soggetti che non hanno aderito entro il 31 gennaio 2015 alla procedura di regolarizzazione è consentito regolarizzare la propria posizione» e seguono le condizioni, le stesse di un anno fa (una tantum di 10mila euro e imposta unica dovuta in due rate) e la nuova data, cioè il 31 gennaio 2016. Insomma tutto come allora. Eppure nella 'Relazione tecnica' che accompagnava il maxi-emendamento del governo alla Legge di stabilità 2015 si spiegava la scelta di sanatoria come ultimativa. Riportiamo l’intero passaggio. «L’intervento emendativo punta a fornire una opportunità di redenzione, nella direzione del circuito ufficiale e legale di raccolta di scommesse, a quegli operatori non regolari ai quali, allo stato, non si presenta altro che una delle seguenti alternative: chiudere definitivamente le proprie attività, con dismissione di investimenti e posti di lavoro, ovvero rimanere in un regime di non regolarità, sfidando la capacità dello Stato di costringerli alla prima alternativa». Insomma, spiegava il governo, o si accetta la «redenzione » o si chiude autonomamente o si viene obbligati a chiudere dalle Forze dell’ordine. Cosa che in questo anno la Guardia di Finanza ha fatto decine di volte. Eppure la Legge, come si legge ancora nella Relazione, aveva «il principale obiettivo di offrire a tali soggetti una nuova, terza possibilità: quella di una procedura di emersione e regolarizzazione che finalmente consentirebbe loro, in piena legittimità, di entrare nei ranghi delle reti ufficiali statali di raccolta del gioco in forma di scommessa». Allora aderì meno di un terzo dei Ctd operanti, altri continuarono ad agire nell’illegalità, altri hanno fatto ricorso, ritenendo di essere nel giusto.  Della nuova sanatoria si parlava da mesi sui siti specializzati del mondo dell’azzardo. Un provvedimento atteso da una parte delle società, mentre altre avevano già dichiarato che anche questa volta non avrebbero aderito. Sono le stesse che hanno presentato ricorso per la prima sanatoria, con in testa il 'gigante' inglese Stanleybet. Di sicuro erano ben informate e pronte ad aderire alcune società finite nell’inchiesta 'Gambling' della Dda di Reggio Calabria sugli affari della ’ndrangheta. Pur tenendosi aperta la strada dei ricorsi. Così il 3 aprile 2015 uno di loro in un’intercettazione dice a un altro imprenditore: «Questi hanno perso pure il ricorso, mo stiamo ancora andando avanti. Io come stiamo facendo un po’ tutti .. non un po’ tutti… tutti i gestori - poi non lo so - in effetti stiamo raccogliendo e mettendo da parte perché se si deve pagare siamo costretti a pagare, questo è il problema, se invece putacaso ce la riusciamo a squagliare in senso che ci danno ragione e non paghiamo i soldi stanno qua, vengono messi da parte e vengono restituiti ai clienti, è normale! Questa è la realtà della situazione, io mi auguro che non si paga Anto’, ti dico la sincera verità, però, purtroppo, qua…».
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