giovedì 27 dicembre 2012
Venticinque pagine per "dettare" al Paese la linea da seguire nei prossimi anni Il documento, disponibile su Internet, è accompagnato da una lettera del premier. Meno soldi ai partiti, ruolo delle famiglie e sì a patrimoniale.
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OSSERVATORE ROMANO Il Professore «intercetta la domanda di politica alta»
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Circola sulla Rete ormai da più di tre giorni il documento più atteso degli ultimi tempi, nel dibattito politico. È l’Agenda Monti, il testo in 25 pagine "messo a disposizione" del Paese dal presidente del Consiglio uscente (con lo "zampino" decisivo, per la parte sul lavoro, di Pietro Ichino, il giuslavorista appena uscito dal Pd): lo si può trovare sull’omonimo sito www.agenda-monti.it, dove è pubblicata anche la lettera d’accompagnamento inviata agli italiani dal Professore.Più che un pre-programma di un governo futuro, l’Agenda montiana (termine «non coniato da me», si premura di far sapere il Prof. che però poi vi ricorre volentieri) si presenta come un vero e proprio manifesto che tradisce l’ambizione di rivoluzionare il modo con cui si fa politica in Italia. Indica come «primo atto» del nuovo Parlamento «la riforma della legge elettorale, così da restituire ai cittadini la scelta effettiva dei governi e dei componenti delle Camere». Il documento è, per forza di cose, in buona parte generico, tuttavia non manca di fissare alcuni punti fermi di quella sana gestione a cui si dovrebbe improntare l’azione del primo governo della XVII legislatura: soldi pubblici ai partiti e più trasparenza nella gestione dei fondi, un ritorno alla carica sulla legge anticorruzione e sul falso in bilancio, nessun passo indietro sulla riforma del lavoro. E poi una spesa pubblica selettiva (da impiegare però solo dopo aver tagliato gli sprechi), un Fisco più equo che prosegua la lotta all’evasione fiscale, anche se la riduzione delle tasse si potrà avere solo in un secondo tempo. Nessun ripensamento anche per l’Imu sugli immobili (peraltro mai citata, un’assenza che colpisce), mentre una novità di rilievo è l’apertura sostanziale, anche se ancora eventuale, a una tassa sui grandi patrimoni.

TASSE E FISCO«Occorre un impegno, non appena le condizioni generali lo consentiranno, a ridurre il prelievo fiscale complessivo, dando la precedenza a lavoro e impresa. La riduzione va perseguita anche trasferendo il carico su grandi patrimoni e sui consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio. Servono meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali. Occorre perseguire obiettivi di maggiore equità nella distribuzione del peso dell’aggiustamento. Bisogna inoltre realizzare un nuovo Patto tra fisco e contribuenti per un fisco più semplice, più equo e più orientato alla crescita». Lotta all’evasione: nel 2012 ha dato 13 miliardi, «è essenziale introdurre meccanismi di tracciabilità dei pagamenti».SPESA PUBBLICA«Con un debito pubblico che supera il 120% del Pil non si può seriamente pensare che la crescita si faccia creando altri debiti. Lo spread conta per imprese e lavoratori: ridurre di 100 punti l’interesse che paghiamo, vale 20 miliardi a regime. Spending review non vuol dire solo "meno spesa", ma "migliore spesa". Quella lanciata quest’anno ha permesso risparmiare 12 miliardi e ulteriori risparmi saranno conseguiti nel 2013». Pubblica amministrazione: «Entro i primi 100 giorni del nuovo governo dovrà essere lanciata una consultazione per identificare le 100 procedure da eliminare o ridurre con priorità assoluta. Va introdotto un principio generale di trasparenza assoluta della P.A., secondo il modello del Freedom of Information Act degli Usa».FAMIGLIA E DONNA«La famiglia è il cuore pulsante della società italiana. L’Italia deve tornare ad avere fiducia nel futuro e a fare bambini. Politiche per la famiglia molto avanzate servono anche a contrastare il calo demografico, che è uno dei fattori d’impoverimento delle società. Va incoraggiata la più ampia adozione di incentivi fiscali e contributivi a sostegno della natalità e per le famiglie numerose». Monti dedica poi un robusto capitolo alle donne: «L’Italia non potrà dispiegare il potenziale di sviluppo economico se non riuscirà a valorizzarle maggiormente. Come ha stimato Bankitalia, con un’occupazione femminile al 60% il nostro Pil aumenterebbe del 7%. Troppe donne italiane sono relegate ai margini del mondo lavorativo. Occorre una detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile e servono robuste politiche di conciliazione famiglia-lavoro».LAVORO E GIOVANI«La riforma del mercato del lavoro rappresenta un passo avanti fondamentale verso un modello di flessibilità e sicurezza vicino a quello vincente realizzato nell’Europa del Nord. Non si può fare marcia indietro». Bisogna puntare però a «una drastica semplificazione normativa e amministrativa, senza perdere niente in garanzie di sicurezza dei lavoratori o tutela dei diritti; il superamen-to del dualismo tra lavoratori sostanzialmente dipendenti protetti e non protetti; ridurre a un anno al massimo il tempo medio del passaggio da un’occupazione all’altra; spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva». E «bisogna rilanciare un Piano Occupazione giovanile con incentivi e detassazioni per chi assume lavoratori tra i 18 e i 30 anni».

LIBERALIZZAZIONIQuelle fatte nel 2012 «non sono state provvedimenti isolati ma parte integrante di una politica che ha messo al centro l’interesse dei cittadini-consumatori. Resta la tentazione ricorrente di reintrodurre tutele, come si è visto con la riforma della professione forense. È necessario allora intensificare l’apertura dei mercati dei beni e dei servizi, sulla base di un processo di consultazione pubblica». Per le imprese, «occorre aumentare gli investimenti in ricerca e innovazione, con il credito strutturale d’imposta. Per le ristrutturazioni, si può immaginare un Fondo per le ristrutturazioni industriali. Bisogna puntare a raggiungere un livello d’investimenti diretti esteri vicino alla media europea, che potrebbe portare fino a circa 50 miliardi in più l’anno».

I PARTITI«Gli italiani hanno accettato sacrifici molto pesanti, mostrando un elevato senso di responsabilità civile». Devono essere dunque «meno comprensivi verso la cattiva politica». Serve «una sterzata: la drastica riduzione dei contributi pubblici anche indiretti ai partiti e ai gruppi parlamentari e dei rimborsi elettorali, con una disciplina di trasparenza dei bilanci e con la tracciabilità dei finanziamenti privati e una soglia massima per gli stessi contributi». E ancora, «chi riveste cariche pubbliche dovrà dichiarare i propri interessi economici e patrimoniali al momento dell’ingresso in carica e alla fine dell’incarico, in modo da verificare eventuali casi di arricchimento indebito. Va previsto il divieto di cumulo tra indennità parlamentare e retribuzioni da altre attività professionali».

GIUSTIZIAIn questo campo, «va introdotta una coerente disciplina del falso in bilancio e completata la normativa sull’anticorruzione, l’antiriciclaggio e l’autoriciclaggio. Va rivista la riduzione dei termini di prescrizione per garantire in modo più adeguato l’azione di prevenzione e contrasto di diversi gravi reati, va introdotta una disciplina sulle intercettazioni e una più robusta disciplina sulla prevenzione del conflitto di interesse. Per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose nella vita politica la legge sull’incandidabilità (già approvata, ndr) manda un segnale preciso. Bisogna andare anche oltre, seguendo ad esempio il codice di autoregolamentazione dei partiti preparato dalla commissione Antimafia».

EUROPA«Per contare nell’Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo. Se non si convincono gli altri Stati delle proprie ragioni, si resta con un pugno di mosche in mano. L’influenza sulle decisioni comuni nasce dalla credibilità, dal saper far valere peso economico e politico, dal lanciare idee su cui creare alleanze. Per questo l’Italia, paese contributore netto al bilancio europeo, deve chiedere all’Europa politiche orientate nel senso di una maggiore attenzione alla crescita». Mentre noi «dobbiamo sempre più abituarci al fatto che le nostre scelte di politica economica siano valutate con attenzione dagli altri Stati dell’Unione, perché le cattive politiche fatte a livello nazionale possono produrre danni che si riflettono negli altri Paesi con cui siamo strettamente integrati».

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