martedì 20 novembre 2012
​"In virtù della loro comune umanità, una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri con lo stesso diritto alla vita”. È quanto i vescovi irlandesi scrivono in una nota in cui la Chiesa cattolica di Irlanda prende la parola sul caso della donna di origini indiane morta per setticemia.
COMMENTA E CONDIVIDI
"La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno andrebbe preferita alla vita di una madre. In virtù della loro comune umanità, una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri con lo stesso diritto alla vita”. È quanto i vescovi irlandesi scrivono in una nota diffusa ieri sera in cui per la prima volta e in maniera ufficiale la Chiesa cattolica di Irlanda prende la parola sul caso di Savita Halappanavar, la donna irlandese di origini indiane, morta il 28 ottobre nell’ospedale universitario di Galway per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza alla 17ª settimana. La morte della donna aveva riacceso in Irlanda un acceso dibattito sull’aborto, considerato illegale nel Paese. I vescovi non si erano fino ad oggi pubblicamente espressi sul caso, in attesa dei risultati di due inchieste avviate dalle autorità per accertare errori e responsabilità nel caso. Ma ieri, a conclusione del Consiglio permanente della Conferenze episcopale irlandese, è stato pubblicato un comunicato per “esprimere solidarietà” alla famiglia della donna e per “ribadire alcuni aspetti della dottrina morale cattolica”. La morte della signora Savita Halappanavar e del suo bambino - scrivono i vescovi - “è stata una tragedia devastante personale per il marito e la sua famiglia”. “Quando una donna in stato di gravidanza e gravemente malata - spiegano i vescovi - ha bisogno di cure mediche che possono mettere a rischio la vita del suo bambino, tali trattamenti sono eticamente permessi a patto che sia stato fatto ogni sforzo per salvare la vita sia della madre che del suo bambino. Considerando che l‘aborto è la distruzione diretta e intenzionale di un bambino non ancora nato ed è gravemente immorale in tutte le circostanze, questo è diverso da trattamenti medici che non sono direttamente e intenzionalmente finalizzati a porre fine alla vita del bambino non ancora nato”. Secondo i vescovi “la legislazione vigente e le linee-guida mediche in Irlanda permettono ad infermieri e medici negli ospedali irlandesi di applicare questa distinzione fondamentale, nella pratica, nel rispetto del pari diritto alla vita sia di una madre che del suo bambino non ancora nato”. Sostenere questo diritto “uguale e inalienabile alla vita” aiuta a “garantire che le donne ed i bambini ricevono i più alti standard di cura e protezione durante la gravidanza. Infatti - sottolineano i vescovi -, le statistiche internazionali confermano che l‘Irlanda, senza l‘aborto, rimane uno dei Paesi più sicuri al mondo in cui essere incinta e partorire.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: