sabato 23 novembre 2013
Dopo il via libera al «governo per decreto» il presidente del Venezuela vuole combattere l'inflazione galoppante con una serie di misure populiste. ​Prime due leggi senza il voto in Parlamento: lotta ai prezzi e al mercato nero dei dollari.
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Tetto massimo ai guadagni dei commercianti al trenta per cento. Importazione di valuta estera “filtrata” e decisa dal Centro nazionale del commercio estero. Ispezioni a tappeto, a partire da oggi, dell’esercito in tutti i negozi del Paese o – per utilizzare il linguaggio ufficiale – un monitoraggio civico-militare contro la guerra economica. «Bienvenidos a “Zimbazuela” – benvenuti a Zimbazuela – la nuova repubblica in “corso d’opera” in America Latina». La battuta è il leit motiv dell’opposizione. Che accusa il presidente Nicolás Maduro di voler trasformare il Venezuela in un altro Zimbabwe. Una dittatura in cui l’inflazione galoppante ufficialmente non esiste, perché l’anziano presidente, Robert Mugabe, l’ha proibita per legge dal 2007. «Maduro come Mugabe», sarà scritto oggi su molti dei cartelli che gli anti-bolivariani porteranno per le strade per protestare contro i poteri speciali concessi al capo dello Stato. Attraverso questi ultimi, votati da un’Assemblea nazionale ad ampia maggioranza governativa martedì sera, il delfino del defunto Hugo Chávez può emanare le misure legislative senza passare per il Parlamento nei prossimi 12 mesi. E – proprio come il suo omologo africano – ha cominciato ad usarli proprio per «combattere l’inflazione», a suon di proibizioni normative e moltiplicazione dei sistemi di controllo. Le prime due disposizioni – varate nella notte tra giovedì e venerdì (l’alba di venerdì in Italia) in diretta tv da Maracaibo, dopo un’appassionata invettiva contro la «borghesia parassitaria» – sono quella sui “costi, guadagni e prezzi giusti” e quella sul commercio estero. Nel primo caso, dietro il nome pomposo si nasconde – secondo la definizione di Maduro – «un compendio della politica economica applicata finora per proteggere i consumatori dagli accaparratori». La stessa ragione con cui il leader ha giustificato, dall’inizio di novembre, la sfilza di occupazioni militari di grandi magazzini e filiali di centri commerciali e la vendita dei prodotti a prezzo poco più che simbolico. «Che non resti niente negli scaffali», aveva ordinato il presidente il 9 novembre nel dare il via ai “saldi forzati” alla catena elettrodomestici Daka. Dopo quella, ci sono state decine di “svendite”, con migliaia e migliaia di venezuelani in fila per giorni per accaparrarsi le merci più disparate. Ora Maduro ha deciso di dare un quadro legale alla pratica. Un modo per risollevare la popolarità del governo in vista delle elezioni amministrative del prossimo 8 dicembre. Che, però, oltre a non ridurre l’inflazione, rischia di innescarne una spirale devastante e di distruggere l’economia nazionale. Come in Zimbabwe, appunto. Nel solo mese di ottobre, i prezzi sono cresciuti del 5 per cento, ha denunciato la Banca centrale, portando l’incremento dell’ultimo anno a quota 54 per cento. Le cause – al di là della retorica sulla speculazione – risiedono nel deficit fiscale del 15 per cento, dovuto al continuo dilatarsi della spesa pubblica e nei tentativi di controllare il tasso di cambio del dollaro, che hanno creato un vasto mercato nero, da una parte, e cronica mancanza di banconote verdi nelle casse pubbliche per le importazioni. Svuotando, di fatto, i negozi venezuelani. Da qui la seconda legge speciale – anticipo di una lunga serie, ha assicurato – di Maduro. Che prevede la creazione di un nuovo ente di controllo, il Centro nazionale del commercio estero. Questo dovrà definire i «parametri per l’impiego di dollari nella Repubblica». Insieme a una corporazione di imprese pubbliche – anche se in casi limitati si potrà ricorrere anche ad aziende private – incaricata di importare i beni necessari, cioè oltre la metà del fabbisogno dei cittadini. In teoria, è (quasi) tutto chiaro. In pratica, le leggi economiche difficilmente si fanno governare dai decreti dei presidenti, quantunque muniti di poteri speciali. Lo Zimbabwe, purtroppo, insegna.
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