lunedì 8 settembre 2014
Testimonianza all’Incontro internazionale “Uomini e religioni”. Le parole Mor Ignatius Aphrem II, della Chiesa Siro-Ortodossa.
Il Papa a S. Egidio: la guerra non ripara le ingiustizie
Francesco: pace per Ucraina e Lesotho

La fermezza dei pacificatori di A. Riccardi
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La tragedia degli Yazidi raccontata da una di loro. Vian Dakheel è della comunità Yazidi ed è membro del Parlamento dell’Iraq. La sua voce è un grido di dolore, anzi un pianto carico di lacrime. È stata invitata a parlare ad Anversa davanti ad oltre 300 leader religiosi di tutto il pianeta, per l’inaugurazione della 28ª edizione dell’Incontro internazionale “Uomini e religioni” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Tema dell’evento “La pace è il futuro”, seguito dall'agenzia Sir. Quando, dopo gli interventi delle autorità, il microfono passa a lei e a Mor Ignatius Aphrem II, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente e capo della Chiesa Siro-Ortodossa, nella sala scende il silenzio, e sulla platea arriva dal lontano Oriente il gelo della guerra, l’odore della polvere e della morte. La voce degli Yazidi. “Vi porto i saluti - dice Vian Dakheel - dei figli delle minoranze irachene, uniti a tristezza e dolori indicibili. Siete senza dubbio al corrente di quello che è successo ai figli della religione Yazidi nel Sinjar in Iraq a partire dal mese di agosto scorso. Ma sono quasi certa che non siete informati dei dettagli, dei crimini spaventosi commessi contro una comunità pacifica”. Il primo “dettaglio” che colpisce di Vian Dakheel è la sua sedia a rotelle. La giovane donna torna in Europa dopo un tragico incidente subito lo scorso 12 agosto: si trovava sull’elicottero militare che stava portando aiuti alla popolazione Yazidi sulle montagne Sinjar, nel nord dell’Iraq. L’elicottero è caduto e nell’incidente che ha causato la morte del pilota, ha provocato al deputato iracheno una frattura della gamba. La donna però non si tira indietro perché ha, qui nel cuore dell’Europa, una missione importante da svolgere: dare voce al martirio subito dal suo popolo. Sono tremila le vittime finora accertate. Alcuni sono morti per mano dell’Isis, altri per fame e sete dopo giorni di fuga sulla montagna del Sinjar. Ci sono anche 5mila persone rapite - uomini, donne e bambini - di cui non si sa più nulla. Due i massacri che Vian Dakheel vuole gridare al mondo. Il primo si è consumato nel villaggio di Kojo (25 chilometri a sud-est del Sinjar): circondato dall’Isis, alcuni sono riusciti a scappare ma chi è rimasto è stato obbligato a scegliere tra l’islam e la morte. L’altra tragedia si è invece consumata sulla montagna del Sinjar e l’orrore è durato 10 giorni: 250 bambini sono morti. La maggior parte erano neonati. Le donne sono state rapite, violentate, vendute ai mercati per 150 dollari. “Ogni pietra del Sinjar - dice piangendo Vian - è stata testimone dell’orrore che vi è accaduto. Ogni albero di questa montagna piangeva. Quanto successo nel Sinjar è una vergogna che pesa sul capo di ciascuno di coloro che sono venuti meno al dovere di soccorrere gli Yazidi nel momento della difficoltà”. “La gravità di quello che sta avvenendo nel mondo in generale, e nel Medio Oriente in particolare, oltrepassa tutto ciò che avevamo visto in passato”. Getta il velo nero di quanto sta succedendo in Medio Oriente Mor Ignatius Aphrem II, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente e capo della Chiesa Siro-Ortodossa. Che aggiunge: “La storia non è neppure dotata della terminologia appropriata per descrivere in modo preciso ciò a cui stiamo assistendo”. Il Patriarca è reduce da una serie di visite fatte questa estate, insieme anche ai patriarchi orientali, alle comunità cristiane irachene (Ninive e Mosul), del Libano e della Siria. Racconta così di un bimbo rifugiato in una chiesa nel villaggio di Araden nel Nord dell’Iraq. Gli è andato incontro con le braccia aperte, dicendogli: “Non abbiamo più un posto dove andare”. Parla di una Siria completamente rasa al suolo: “Anche gli alberi sono stati distrutti”. Racconta la storia di un padre a cui hanno ucciso e gettato in un pozzo la moglie e i due figli. E poi chiede: “Come parlare di pace a questi popoli?”. Brucia fortissimo il dolore di questa Chiesa per il sequestro, più di 500 giorni fa, degli arcivescovi di Aleppo Boulos Yazigi e Youhanna Ibrahim. Tanto che il Patriarca Aphrem II lancia un’accusa importante: “Non si vergogna la comunità internazionale del suo silenzio circa il loro rapimento?”. L’incontro di Anversa si svolge nell’anno in cui il mondo ricorda il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. E si svolge in un contesto internazionale mai così provato sul fronte della pace: Medioriente, Europa dell’est, Africa. “È giunto il tempo - scrive Papa Francesco ai leader religiosi - che i capi delle religioni cooperino con efficacia all’opera di guarire le ferite, di risolvere i conflitti e di cercare la pace”. Il Papa consegna agli uomini e alle donne di fede un compito arduo ma fondamentale: “Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire”. Le lacrime della portavoce del popolo Yadizi e il dolore del Patriarca siro-ortodosso bruciano sul nascere le buone intenzioni e chiedono con urgenza passi coraggiosi e concreti.
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