lunedì 25 maggio 2015
​Alle amministrative il partito anti-austerity Podemos conquista Barcellona e costringe i popolari a un testa a testa a Madrid.
E in Grecia continua il braccio di ferro sul debito con le istituzioni europee.
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​Terremoto politico, ampiamente annunciato, in Spagna, dove alle amministrative che si sono svolte ieri il partito anti-austerity Podemos ha avuto una valanga di voti, vincendo a Barcellona e costringendo i popolari ad un testa a testa a Madrid. Il partito del premier Mariano Rajoy ha perso quasi 11 punti rispetto alle elezioni del 2011 ed il controllo di Extremadura, Comunidad Valenciana, Cantabria, Aragón, Castilla-La Mancha e Baleares. Ma la sconfitta simbolicamente più pesante è quella che rischia di registrare a Madrid, città che i popolari governano dal 1991, e dove la coalizione Ahora Madrid guidata dalla formazione politica di Pablo Iglesias che ha avuto il suo primo exploit alle ultime elezioni europee, si è imposta con la candidata Manuela Carmena che, insieme a Ada Colau a Barcellona, sono diventate il volto e il simbolo del cambiamento. In effetti i popolari hanno ottenuto un consigliere in più, ma non ha i voti per governare da solo, ed è quindi probabile che Ahora Madrid governi in coalizione con i socialisti. A livello nazionale, i popolari si sono attestati al 27/%, poco distanti dal 25,2% dei socialisti che sono anche molto arretrati nelle grandi città, loro tradizionale bacino di voti. Oltre alle dirette conseguenze per l'amministrazione delle grandi città questi risultati elettorali, e l'arretramento dei grandi due partiti storici spagnoli a favore delle nuove formazioni, costituiscono un test significativo in vista delle prossime elezioni politiche, il prossimo novembre.La contemporanea vittoria del Pis di Andrzej Duda in Polonia e di Podemos a Barcellona e Madrid, sommata a quella recente di David Cameron in Gran Bretagna, dimostrano una ondata inarrestabile di "euroscetticismo". Da Syriza a Podemos, dalla tedesca Alternative fur Deutschland ai polacchi del Pis fino al Movimento 5 Stelle: sono i movimenti figli della crisi a mettere sotto assedio la politica europeista, rappresentata dalla coalizione Ppe-Pse che con l'appoggio dei liberal-democratici ha eletto Jean Claude Juncker ed ha la maggioranza al Parlamento europeo.In Francia è con la campagna anti-euro e anti-immigrazione che il Front National di Marine Le Pen è diventato il secondo partito. In Olanda, Belgio, Danimarca, i partiti anti-immigrazione fanno campagna anti-Europa. Ed anche la Finlandia, che nella Commissione Barroso rappresentava con Olli Rehn il verbo dell'austerity, scivola verso l'euroscetticismo, con il leader del neonato partito centrista Juha Sipila che dopo aver vinto le elezioni è alle battute finali del negoziato percostruire un governo con la Coalizione nazionale di centrodestra del premier uscente Alexander Stubb e con gli euroscettici del Perussuomalaiset (il Partito dei Finlandesi) di Timo Soini.In questo quadro, la trattativa fra il governo di Alexis Tsipras - il primo di sinistra radicale nei 60 anni di storia della comunità europea - e le "istituzioni", ovvero Commissione europea, Bce e Fmi, rischia di essere il detonatore dell'euroscetticismo su scala continentale
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