sabato 27 febbraio 2016
Il nunzio in Iraq: ogni passo verso la pace in Medio Oriente sarà un bene per tutti
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«Tutto il Medio Oriente attraversa una situazione difficile dove i problemi di un Paese hanno ripercussioni anche in quelli vicini. Ogni passo in avanti per la pace e la stabilità in un Paese avrà ripercussioni positive per gli altri e viceversa. Quanto all’Iraq, ci sono 10 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, circa un terzo della popolazione, di cui 3,4 milioni che hanno dovuto lasciare le loro case dal gennaio 2014. È una vera emergenza umanitaria che richiede l’aiuto ed il sostegno della comunità internazionale». Monsignor Alberto Ortega Martin, spagnolo, è stato nominato nunzio apostolico in Giordania e Iraq da papa Francesco nell’agosto 2015, dopo avere lavorato con le rappresentanza diplomatiche in Nicaragua, Sudafrica e Libano e in seguito nella Segreteria di Stato. Dall’Iraq si continua a emigrare, ma ci sono notizie anche di gente che rientra...Si parte per problemi di sicurezza e per le difficoltà economiche e di altro tipo, che fanno pensare che non ci sia futuro. Tuttavia spesso anche nei Paesi di arrivo la situazione non è facile e alcuni si scoprono in un contesto culturale diverso, hanno spesso difficoltà con la lingua, non è facile trovare lavoro e non sempre si trova la dovuta accoglienza. D’altra parte molti rimangono attaccati alle loro radici e desiderano far ritorno. Tutto ciò spiega perché non pochi abbiano deciso di rientrare, soprattutto dal Nord Europa.L’Iraq è stato per secoli terra di convivenza tra identità diverse. Quello che è accaduto negli ultimi anni ha incrinato la fiducia nella possibilità di vivere insieme, soprattutto tra cristiani e musulmani? Purtroppo non sono mancate tensioni tra i diversi gruppi, in particolare tra sunniti e sciiti, acuite dal 2003. I buoni rapporti tra cristiani e musulmani hanno subito un duro colpo con la presenza di gruppi estremisti e soprattutto del cosiddetto Stato islamico e di quanti l’hanno sostenuto. Nonostante queste esperienze negative bisogna impegnarsi per recuperare un rapporto di fiducia e rispetto. Il dialogo è una necessità, e più difficile è la situazione, più diventa importante. La gente, soprattutto di una certa età, parla con nostalgia di tanti esempi di buona convivenza tra musulmani e cristiani. Per quanto riguarda i cristiani, soprattutto in questo Anno Santo, è utile ribadire le conseguenze positive della misericordia e del perdono che hanno ripercussioni a livello sociale. Si auspica che i musulmani prendano con più determinazione le distanze dai terroristi dello Stato islamico e dall’estremismo e si impegnino a migliorare i rapporti tra loro e con gli appartenenti ad altre religioni.I cristiani propongono una organizzazione dello Stato basata sul concetto di cittadinanza. Cosa significa?I cristiani non vogliono essere semplicemente tollerati come cittadini di serie B, ma desiderano essere considerati come tutti gli altri iracheni con gli stessi doveri e diritti. Questo concetto di cittadinanza va al di là delle considerazioni confessionali, per costituire una società dove tutti, inclusi i membri dei gruppi minoritari, possono offrire un contributo per il bene del Paese.Che cosa sta facendo concretamente la Chiesa?I cristiani desiderano continuare a dare il loro contributo al bene del Paese, come artefici di pace, riconciliazione e sviluppo. In particolare ricordo l’impegno assistenziale attraverso la Caritas e altre istituzioni, aiutando chiunque ha bisogno, e nell’ambito dell’educazione, cominciando dalle scuole.Nelle comunità cristiane presenti ancora in Iraq e Giordania prevale la paura per il futuro, la disillusione o la speranza? C’è un po’ di tutto. Sono colpito dalla testimonianza di tanti che hanno perso tutto pur di mantenere la fede, rendendo testimonianza che Cristo è il tesoro per cui vale la pena dare tutto, anche la vita. Ho visto altri che dopo tanti anni di difficoltà e dopo la persecuzione provocata dall’arrivo del lo Stato islamico sono stanchi e vorrebbero andare via. È molto importante vivere la vera speranza, che viene non tanto dall’auspicato cambiamento delle circostanze difficili, ma dal riconoscimento della presenza del Signore che non ci abbandona. I cristiani hanno una missione particolare in Iraq e nella regione, la loro diminuzione è una perdita per l’intera società.In Giordania crescono le preoccupazioni per l’aumento dei profughi siriani.È un Paese che gode di stabilità, anche grazie a una gestione saggia delle sue autorità, in particolare del re Abdullah II. Tuttavia deve affrontare numerose sfide, soprattutto per l’elevato numero di siriani che ha accolto, circa la metà dei 3 milioni di rifugiati che vivono lì, su una popolazione di 9 milioni. Va apprezzata la grande generosità nell’accoglienza, ma si è giunti a un punto in cui la Giordania non può continuare da sola a far fronte a questa situazione e ha bisogno di più sostegno dalla comunità internazionale. Cosa insegna ai cristiani di Occidente quello che sta accadendo in Medio Oriente?Insegna soprattutto il valore della fede e costituisce un invito a vivere la propria identità senza riserve. In Occidente si può aiutare con la preghiera, con la vicinanza ma anche con il sostegno ai bisogni concreti tramite i necessari aiuti umanitari. Per rimanere i cristiani devono avere condizioni di sicurezza, di lavoro e di abitazione, e godere dei diritti che spettano loro come ad ogni cittadino. Anche in questo possiamo offrire il nostro contributo ricordando alle autorità di questi Paesi le responsabilità che hanno nei confronti dei cristiani e delle altre minoranze.
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