lunedì 5 dicembre 2011
Due settimane fa l’ultima cattura nel deserto egiziano di 370 individui in fuga dall’Asmara, trasferiti dai banditi in caverne e container. Buone notizie soltanto dalle carceri del Cairo, dove si sta sbloccando la situazione dei detenuti per immigrazione clandestina cui è negato il diritto di chiedere asilo.
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Ancora storie dell’orrore, nel silenzio indifferente del mondo. Nei campi di prigionia del Sinai 350 profughi eritrei, tra cui donne incinte e bambini, sono in catene da mesi, in attesa che i parenti paghino i predoni beduini per la liberazione. Sono sottoposti a torture indicibili, con poco cibo e poca acqua e la minaccia di espianto degli organi per chi non paga. Almeno sei ostaggi sono stati ammazzati negli ultimi 30 giorni. Altri 370 eritrei sono stati rapiti e trasferiti dai banditi due settimane fa nelle caverne e nei container del deserto di Dio. In tutto sono 720 vite umane. Si comincia invece a sbloccare la situazione degli eritrei detenuti arbitrariamente nelle carceri egiziane, tra cui mamme e bambini, arrestati per immigrazione illegale alla frontiera tra Egitto e Israele senza che nessuno abbia consentito loro di presentare domanda di asilo all’Egitto, che ha aderito alla Convenzione Onu sui rifugiati.In un drammatico resoconto in tempo reale dei sequestri diffuso in settimana, l’Agenzia Habeshia di don Mosè Zerai, la rete umanitaria della diaspora eritrea con snodi a New York, Londra e Stoccolma, e due organizzazioni israeliane per i diritti umani – i medici di Phr che curano i rifugiati nella loro clinica di Tel Aviv e gli avvocati di Hotline for migrant workers – hanno descritto accuratamente la situazione. Le fonti sono le testimonianze rilasciate nell’ultimo mese dai prigionieri, molti dei quali cristiani, che li contattano ogni giorno via telefono.Confermano che non accenna a diminuire il mercato di uomini nel deserto egiziano, nonostante le notizie contrastanti dell’ultimo mese probabilmente "inquinate". Certo, almeno 610 ostaggi provenienti dall’Eritrea sono stati liberati dai predoni al confini con Israele – anche se non sono ancora giunti riscontri – attorno al 10 novembre, senza riscatto, gesto fatto per distogliere l’attenzione dopo che alcuni media internazionali – tra i quali Avvenire – hanno denunciato sequestri e traffico d’organi nelle terre controllate dai beduini. Sempre in quei giorni è avvenuto un regolamento di conti tra i clan che controllano il Sinai. Ma poco è mutato, le persone liberate sono già state rimpiazzate con una rapidità che conferma come la rete dei trafficanti non rinunci a un’attività immonda che vale milioni di dollari. Secondo le testimonianze, che confermano quanto da noi ascoltato un mese fa dalla voce dei prigionieri nelle galere egiziane, ora gli eritrei vengono rapiti dai nomadi Rashaida dopo essere stati ingannati dal bandito eritreo Angosom, fuori dai campi profughi dell’Onu in Etiopia e Sudan. Poi, percorsa la rotta del Sahara, sono venduti ai predoni beduini nel Sinai.Dai quali nel triangolo della morte da El Arish a Rafah nel Sinai del Nord, fino a Nakhl – dove sono tenuti prigionieri i profughi e dove avvengono gli espianti di organi – i rifugiati eritrei e africani sono torturati per estorcere riscatti che arrivano ormai a 30mila dollari. Alcuni particolari confermano le omissioni da parte delle forze di sicurezza egiziane ed israeliane. Le quali conoscono da luglio nomi e numeri di cellulare dei boss e dei loro complici eritrei – alcuni colti in flagranza a riscuotere i riscatti via money transfer e poi liberati misteriosamente di qua e di là del confine del Sinai – e le località di prigionia. Ma non intervengono. Nemmeno il caos al Cairo giustifica l’impunità dei criminali, che godono evidentemente di complicità insospettabili in tutti gli Stati coinvolti, Sudan, Egitto, Israele e Autorità palestinese. Il sospetto è che una chiave della vicenda sia il traffico d’organi, del quale sarebbero state vittime 3.000 persone, forse connesso all’estremismo islamico. La novità è che l’organizzazione sposta i campi. Tre ostaggi parte di un gruppo di 165 eritrei – tra i quali 13 donne e 15 minori non accompagnati tra i 14 e 16 anni – hanno infatti dichiarato alle organizzazioni di essere detenuti fuori dal Sinai, a Mansoura, città 120 km a nord del Cairo. In un bunker sono torturati con elettroshock, mentre le donne sono violentate dal capo banda Abu Musa e da otto complici. Il riscatto richiesto per ognuno è 30mila dollari, l’affare vale quindi 5 milioni. Negli ultimi giorni sono state uccise 5 persone, tra cui una donna. Lo stesso Abu Musa è responsabile del sequestro di un altro gruppo di 59 profughi custoditi vicino a Rafah, tra i quali 8 donne, due al termine della gravidanza. Ed è colpevole di altri orrori. Il riscatto richiesto è 23mila dollari. Una ragazza è stata messa incinta dai banditi, i quali chiederanno la stessa cifra per liberare il neonato. Un 22enne è stato ucciso dai banditi il 18 novembre e 15 giorni fa al gruppo si sono aggiunti 22 ostaggi. In tutto Abu Musa vuole incassare dalla "merce" umana oltre un milione e mezzo di dollari. Chi non paga viene rivenduto a trafficanti di organi come Abu Abdallah, "belva" che agisce nel cuore del Sinai. E svanisce nel nulla, come l’undicenne eritreo rapito da un campo profughi in Sudan a febbraio, finito in catene e poi forse nelle fosse comuni del deserto.In questa terra senza umanità c’è almeno la speranza che Dina, la bambina di sei anni detenuta con la madre che abbiamo incontrato un mese fa nel carcere di Bir el Abd, possa tornare libera a Natale grazie all’ong Gandhi. Che, aiutata da una rete di persone di buona volontà, sta lavorando per portare in Etiopia 150 prigionieri su 700, una Schindler’s list di donne, bambini e malati, evitando l’ultimo oltraggio, la deportazione nel gulag Eritrea dalla quale sono fuggiti nell’indifferenza dell’Occidente.
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