sabato 20 dicembre 2014
​​A Sinjar i peshmerga sono riusciti ad allentare la pressione sui 15mila civili asserragliati da mesi.
«Padre Dall'Oglio in carcere ad Aleppo»
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Sulle pagine social nate per sostenere il popolo yazida e documentare i lunghi mesi di violenze sulla montagna di Sinjar, ora ci sono le foto delle uccisioni dei miliziani dell’Is, colpiti dal massiccio bombardamento della coalizione guidata dagli Usa. C’è un corridoio sicuro, l’assedio alla montagna sacra sembra finito, tutto nelle ore in cui gli yadizi avrebbero voluto celebrare una delle loro festività. Cinquanta raid in pochi giorni e i combattimenti a terra di circa 8mila soldati peshmerga curdi per prendere il controllo di due vaste aree del nord e riconquistare la città di Sinjar, capitale yazida: la zona tra Rabia e Sinjar, lungo il confine siriano, e Zumar, ad ovest del lago di Mosul, sul fronte iracheno, sempre verso la montagna in cui da agosto sono accampate senza ormai più cibo e vestiti 15mila persone, sfuggite alle violenze dei miliziani di al-Baghdadi. I peshmerga hanno conquistato almeno tre villaggi e aperto una via attraverso la quale adesso potrebbe essere possibile mettere in salvo chi, in estate, non era riuscito a lasciare la montagna, né attraverso i primi ponti aerei né via terra, verso la Siria. «Aspettiamo questo passaggio da cinque mesi, 35 città in attesa, curdi e iracheni ci hanno sempre detto che sarebbero arrivati, un giorno dopo l’altro abbiamo aspettato combattendo con i nostri mezzi», commentava martedì, primo giorno di raid, il capo tribù yazida Ghazi Murad, che in questi mesi con il suo gruppo di circa 500 uomini ha difeso e continua a difendere dagli attacchi dei miliziani le zone in cui sono accampate le famiglie. Le uccisioni, i rapimenti delle donne, le conversioni forzate hanno fatto la tragedia di un popolo la cui storia millenaria affonda le radici proprio nell’area in cui i terroristi dell’Is hanno iniziato la propria espansione. Prima una persecuzione feroce e poi un’emergenza umanitaria altrettanto dura: mancano medicine, cibo, latte, scarpe. Una ventina di bambini nell’ultimo mese sono morti di stenti, molti altri soffrono il freddo e sono malati. Gli aiuti fino adesso sono stati insufficienti e piccoli gruppi armati negli ultimi mesi hanno cominciato ad effettuare bliz nei villaggi assediati per reperire cibo da portare sulle alture. Le linee telefoniche tagliate e l’assenza dei collegamenti Internet hanno isolato ancora di più la comunità yazida.«Entriamo nelle città con la forza, prendiamo quello che serve e scappiamo. Ma nelle strade e nelle case, quando non vengono bruciate dai soldati, ci sono le bombe, è tutto minato», spiega ancora Ghazi. L’Is, col grosso delle truppe a Mosul, ha piazzato nei villaggi ai piedi della montagna circa venti, trenta combattenti con i compito di vigilare, mantenere l’assedio e continuare le persecuzioni con armi e i mezzi dell’esercito iracheno, abbandonate in estate durante la prima grande offensiva militare del Califfato. I combattenti yazidi, armati con qualche kalashnikov avuto dai peshmerga curdi e soprattutto le poche armi acquistate di tasca propria al mercato nero (gestito in Siria dagli stessi Daahs, l’Is ), hanno tenuto la posizione, impedendo che i miliziani raggiungessero anche la popolazione sopravvissuta alle persecuzioni. «Sentiamo dei bombardamenti, in questi giorni abbiamo trovato tanti morti. Quando uccidiamo uno di loro, o troviamo un loro cadavere, scopriamo che in tasca hanno medicinali con cui si danno forza e alcool. Non c’entrano nulla con la religione, però tentano di convertirci e tagliano la testa ai nostri bambini, le mani, i piedi...».  Secondo fonti del Kurdistan iracheno, i bombardamenti contro le postazioni dei terroristi hanno consentito la riconquista di un’area di circa centro chilometri. Tra i jihadisti uccisi molti comandanti, tra cui un emiro del Califfato Abu Aisha al Hijazi. Anche in queste ore si combatte. E in una nota il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, annuncia l’uccisione di 126 miliziani nella battaglia per il controllo dell’area di Zammar, a ovest di Mosul.
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