lunedì 21 gennaio 2013
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La crisi nel Sahel ha forse sorpreso l’opinione pubblica, ma non gli analisti. Tuttavia, con la guerra di Libia ancora fresca, l’intervento francese in Mali è una decisione controversa, soprattutto per gli esiti nel lungo periodo.Ministro Andrea Riccardi, nei mesi scorsi lei ha insistito perché si riaprisse la cooperazione con quella regione africana. Come giudica, ora, l’accelerazione francese?Sono stato io a segnalare il pericolo di un nuovo Afghanistan ed ho operato perché l’Italia entrasse nel Sahel per sostenere Stati fragili sotto la pressione degli jihadisti ma anche della povertà. La priorità era rafforzare stati e sviluppare società per evitare il contagio in un deserto che, come diceva Fernand Braudel, è «come il mare su cui non si tracciano frontiere». Accanto al Mali in crisi, vi è un fragile Niger e un non forte Burkina Faso. Questa la priorità della Cooperazione italiana che ha firmato un accordo con il Burkina Faso, riaprendo una unità operativa. Avevamo ben chiaro il pericolo jihadista congiunto alla irrisolta questione dei tuareg. La recente incursione verso Bamako ha causato l’intervento francese: di fronte al pericolo più volte denunciato non c’è stata una programmazione di intervento europeo. In Mali c’è da ricostruire uno Stato, poco più in là ci sono Stati da difendere. La pressione terroristica del Nord Mali potrebbe congiungersi con Boko Haram nel Nord della Nigeria che ha mostrato tutta la sua barbara violenza verso le comunità cristiane locali. Un radicalismo terrorista jihadista di stampo africano estremamente pericoloso per tutta l’Europa, dove potrebbe operare con gravi danni.Così, mentre tutti attendono gli esiti delle «primavere arabe», abbiamo già una schiera di «Stati falliti» appena sotto al Mediterraneo?La nostra frontiera, l’ho detto più volte, passa lì e quindi c’è urgenza di una responsabilità politica comune. Gli interventi militari possono avere una funzione chirurgica, ma non risolvono i problemi. C’è una ricostruzione da attuare: polizie ed eserciti da formare, favorire la partecipazione politica, riavviare l’economia contro le povertà. Va disegnata una politica europea in cui l’Italia deve giocare il suo ruolo umanitario, ma anche di supporto alle istituzioni locali, oltre che prettamente politico.Con una risoluzione Onu sul Mali il quadro internazionale è meno complicato che altrove. Come procedere, tenendo conto che lo stesso ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha detto che presto i suoi uomini cederanno il passo agli africani?Da tempo i presidenti del Burkina Faso, della Guinea, della Costa d’Avorio, del Niger mi avevano manifestato il loro interesse a intervenire militarmente per scongiurare il pericolo. L’Ecowas lo vuole? Credo di sì. Si tratta, però, di capire quale politica a medio periodo deve attuare l’Europa. La Libia ci insegna quanto sia complessa una ricostruzione e l’attuale crisi, ricordiamolo, è pure dovuta allo sfaldamento libico che ha sparso armi e guerriglieri.Ministro Riccardi, quali passi concreti farà l’Italia?Il nostro Paese sta vivendo un particolare momento elettorale. Un governo e un Parlamento nuovi, tra due mesi, potranno assumersi responsabilità più incisive. L’attuale esecutivo ha già detto che fornirà il suo appoggio logistico alla Francia, ma si deve anche accelerare il rientro politico dell’Italia nella regione. Combattere il jihadismo terrorista in un’area storicamente di islam tollerante. Come sradicarlo culturalmente?È vero, l’islam africano è generalmente molto più tollerante di altri, ma ora, proveniente dal Medio Oriente, si sta creando un inedito jihadismo africano. Paesi come il Niger e la Guinea, attuano politiche sagge, la maggioranza musulmana è rassicurante, ma c’è una ventata ideologica e terroristica che si è saldata con l’inevasa questione nazionale: quella dei tuareg. Per questo ci vuole una politica maggiore: non si dimentichi che nella miseria il fondamentalismo offre ambigue reti sociali. Un «Afghanidstan sotto casa» è un appello alla responsabilità che si gioca sul lungo periodo.
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