lunedì 2 dicembre 2013
Dal Patriarcato greco-ortodosso di Damasco confermano l'attacco da parte di miliziani jihadisti: le monache, siriane e libanesi, sono state prelevate con la forza e costrette a lasciare il convento di Santa Tecla (nella foto). La cittadina cristiana di Maalula si trova a 60 chilometri a nord di Damasco.
Cristiani di Maalula in ostaggio delle fazioni ribelli (11/9/2013)
Il piccolo villaggio dove si parla ancora la lingua di Gesù (Camille Eid, 11/9/2013) )
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Sono 5, e non 12 come si era detto in un primo momento, le suore rapite in Siria. Si tratta della superiora e di altre quattro religiose, che sono state condotte a Yabroud, cittadina non molto distante da Maalula dove si trova il convento. È l'unico dato certo del sequestro, molto probabilmente ad opera del Fronte al-Nusra, affiliazione di al-Qaeda in Siria.Siria, suore rapite da al-QaedaUna irruzione a mano armata, o forse più semplicemente uno sgombero forzato dal convento greco-ortodosso di Santa Tecla già occupato in precedenza dai miliziani. Di fatto, dopo ore di verifica, pure il patriarcato greco-ortodosso di Damasco ha dato la conferma: «Le 12 religiose del monastero Santa Tecla di Maalula sono state prelevate con la forza». Sono le prime monache, tutte siriane più qualche libanese, a sparire nel nulla come nei mesi scorsi tre sacerdoti e due vescovi. Si sospetta di al-Nusra, gruppo legato ad al-Qaeda. Forse sono già state trasportate a Yabrud, 20 chilometri a nord dal villaggio dove si parla ancora aramaico. Ma sono solo di ipotesi. Un rapimento a scopo di estorsione, forse un trasferimento per evitare alle donne di essere travolte dalla nuova linea del fronte, oppure un gesto di persecuzione dettata da odio etnico-religioso contro la minoranza cristiana. Il primo annuncio, ieri pomeriggio, era dell’agenzia governativa Sana che parlava di «terroristi» autori di una irruzione nel convento dove «hanno preso in ostaggio la madre superiora, Pelagia Sayyaf, e altre suore» nel convento di Santa Tecla, uno dei complessi storicamente più importanti di tutto l’antico insediamento. La speranza che fosse una voce rimbalzata da qualche social-network, è naufragata nel giro di poche ore: è il rapimento di una intera comunità monastica femminile che per scelta o per necessità aveva deciso di restare pur conscia del pericolo. Un dato nuovo per crudeltà: mai in precedenza delle donne consacrate erano state rapite. In febbraio erano stati rapiti due sacerdoti siriani, uno armeno-cattolico e uno greco-ortodosso; in aprile Paul Yazigi, metropolita greco-ortodosso di Aleppo e Jean Ibrahim, vescovo siro-ortodosso sempre di Aleppo. Il 28 luglio il gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio. Tutti scomparsi nel nulla. Ora una intera comunità prelevata e, si presume, scomparsa nelle montagne dell’Antilibano. Tuttavia non è la prima volta che viene colpito lo storico villaggio di circa 5mila persone dove sono almeno 1800 quelli della minoranza cristiana che si esprimono ancora in aramaico, l’antico idioma parlato da Gesù di Nazaret. Già in settembre i jihadisti si erano impadroniti del villaggio e avevano danneggiato alcune delle antiche chiese. Immagini reperibili sul web mostravano in quei giorni alcune monache di Santa Tecla che si muovevano tranquillamente nel monastero. Forse uomini del Libero esercito siriano che volevano in questo modo dimostrare di essere dei guardiani affidabili. Per altri, invece, una prova indiretta di come le religiose fossero già in ostaggio di bande armate. Successivamente i jihadisti erano stati respinti dalle forze lealiste e da milizie cristiane armate, ma erano rimasti sulle alture circostanti e i loro cecchini avevano continuato a colpire il piccolo centro. Un continuo avanzare e ritirarsi in una non ancora finita resa dei conti tra jihadisti e brigate del Libero esercito siriano. A sera con un comunicato i ribelli affermavano di aver preso il pieno controllo della località: si tratta del Fronte al-Nusra, della Brigata al-Sham e del Fronte di liberazione al-Qalamun.Una guerra civile che aumenta di giorno in giorno il suo tragico bilancio: in 33 mesi sono almeno 126mila le vittime, più di un terzo civili, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha anche fatto appello a Ban Ki-moon perché aumentino gli sforzi per mettere fine a due anni e mezzo di guerra civile. Infine l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha dichiarato che sono state trovate prove di crimini di guerra e contro l’umanità riconducibili al presidente Assad e al suo entourage. La commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani in Siria «ha prodotto prove massicce di crimini molto gravi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità», ha affermato. La commissione – incaricata di valutare le violazioni subito dopo l’inizio del conflitto, nel marzo 2011– ha accusato il regime siriano, ma ha anche i jihadisti che stanno cercando di scalzare Assad. (Luca Geronico)
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