venerdì 26 aprile 2013
Sono i figli dei migranti che vengono in Italia a lavorare. Affidati ai parenti, risentono della lontananza della madre sviluppando spesso comportamenti aggressivi e abusando di alcol. Il loro dramma denunciato in uno studio dell'Unione Europea. (Antonio Buozzi)
 Il medico: «Ma anche le mamme vanno in depressione» (Vito Salinaro)
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Orfani bianchi, left behind, parole diverse per indicare una medesima realtà: l’abbandono, alle volte temporaneo alle volte prolungato, di bambini che vengono lasciati in custodia a parenti e amici mentre i legittimi genitori emigrano all’estero per cercare lavoro. Ora un recente studio condotto in 25 Paesi per conto della Commissione Europea stima che siano 500.000 i bambini rimasti nei Paesi di origine, tutti nell’Est europeo: Romania, Polonia, Repubbliche Baltiche. Un dramma sociale che si snoda tra Italia e Spagna in prima battuta, principali destinazioni dei genitori migranti, e i Paesi di origine.Il problema è noto da tempo, ma che cosa fare? Se ne è discusso nella tavola rotonda “Left Behind” organizzata a Bruxelles dalla Fondazione L’Albero della Vita, in collaborazione con L’Unione Europea, Alternativa Sociale e EuroChild con la partecipazione, tra gli altri, di Roberta Angelilli, vice presidente del Parlamento europeo, di Margaret Tuite del Dipartimento di Giustizia della Commissione Europea. Monitorare meglio il fenomeno, portarlo all’attenzione delle istituzioni europee, questo in sintesi sembra l’impegno comune che si sono assunti i promotori della tavola rotonda.La partenza dei genitori, in particolar modo delle madri, incide a diversi livelli sullo sviluppo psicologico e sociologico dei bambini con conseguenze negative che si manifestano nei risultati scolastici, in fenomeni di criminalità giovanile, in comportamenti aggressivi e violenti e abuso di alcol. Nella sola Romania, l’Unicef stima che siano 350.000 i bambini left behind. Molti dei genitori oggi vivono in Italia, emigrati per sfuggire a una vita di stenti, di mancanza di prospettive, di povertà ormai endemica. La ricerca della Commissione Europea conferma questo dato: tra i genitori romeni il 66% sostiene di aver migliorato le proprie condizioni economiche nel Paese di arrivo, con effetti apparentemente positivi anche sui figli: gli standard più elevati di vita consentono di fornire più beni come abbigliamento, calzature e giocattoli.Ma non sempre questa attenzione puramente materiale è positiva. Marzia Tiberti, volontaria Caritas in un piccolo paese agricolo della Moldavia romena, particolarmente segnato dalla emigrazione, denuncia i rischi di questi tentativi di compensazione affettiva: «I bambini finiscono per identificare il genitore con il regalo, diventano anche loro vittime di una logica di consumo, acuita dalla mancanza di vere relazioni affettive». La crisi economica ha poi aggravato i problemi. La ricerca dell’Unicef parla di 25 milioni di bambini a rischio povertà ed esclusione sociale per l’aumento del tasso di disoccupazione dei genitori. Condizioni che si aggravano a causa della continua contrazione della spesa nel settore sociale e dalle misure di austerità introdotte. Sono proprio i bambini a soffrire maggiormente il calo degli standard di vita in Europa.Le molte associazioni che lavorano sul territorio, in particolare nei Paesi di origine, oggi fanno fatica a mantenere i servizi e confermare i progetti avviati. «Qui in Romania, la situazione è drammatica», è il grido di allarme di Franco Aloisio, volontario italiano che da anni lavora con i ragazzi di strada di Bucarest per l’associazione Parada. «Le sovvenzioni da parte del governo romeno sono state drasticamente ridotte, mettendo in crisi molti operatori attivi con i bambini e gli orfani. Da parte delle istituzioni europee vi deve essere la consapevolezza che i governi locali non sono in grado, per ragioni anche economiche, di far fronte al problema. Serve una visione d’insieme e un sostegno concreto, altrimenti un ulteriore aggravamento della situazione sarà inevitabile».
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