sabato 24 agosto 2013
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L’hanno accusato di aver avuto (sinora) un atteggiamento troppo prudente sul teatro siriano. Hanno analizzato ogni sua reazione dopo il presunto attacco con il sarin, tre giorni fa, alle porte di Damasco. Gli hanno puntato gli occhi addosso, attendendo una precisa presa di posizione. Ieri, il presidente americano Barack Obama si è smarcato da ogni pressione, intervenendo personalmente, per la prima volta, con un’intervista alla Cnn, sulla questione delle armi chimiche in Siria. Un discorso che lascia poco spazio a repliche. Sostanza: le accuse dei ribelli sull’utilizzo del gas sono «un fatto enorme»; indubbiamente l’accaduto impone all’Amministrazione di affrontare la situazione con tempi «più ridotti»; ma gli Stati Uniti non possono certo risolvere il problema da soli: se attaccassero un altro Paese senza il consenso dell’Onu e senza prove chiare, «si aprirebbe una questione in termini di diritto internazionale». E si rischierebbe di creare «ancora più risentimento nella regione».«Condivido la volontà del senatore MacCain di aiutare le persone in situazioni estremamente difficili, ma credo che gli americani si aspettino da me che io agisca nella prospettiva dei nostri interessi nazionali a lungo termine», ha detto Obama, disinnescando la polemica dei repubblicani. La “lezione-Bush” è stata ben assimilata: quando l’ex presidente attaccò l’Iraq con una “Coalizione dei volenterosi” senza il consenso delle Nazioni Unite, sottopose se stesso e la sua Amministrazione a pesantissime critiche della comunità internazionale, e le conseguenze di quella decisione pesano ancora sulle spalle degli americani. La strada indicata da Obama è quella di una decisione multilaterale, che il presidente è tornato a caldeggiare con insistenza: serve un’inchiesta approfondita su quanto successo e, se, verrà appurato che è stata oltrepassata la «linea rossa», ci sarà una risposta condivisa. Presto. Perché Obama ha detto chiaro e tondo di non aspettarsi «alcuna cooperazione» dal governo siriano.La palla passa nelle mani dell’Onu. E nelle mani dell’Onu dovrebbero anche finire, presto, campioni di tessuti umani che potrebbero certificare l’effettivo utilizzo di armi chimiche. Ieri attivisti dell’opposizione hanno detto di aver inviato materiale organico (capelli, pelle e sangue) agli ispettori delle Nazioni Unite presenti a Damasco: «Li abbiamo fatti entrare nella capitale attraverso corrieri fidati», hanno spiegato. Precisando però che l’hotel dove alloggiano è blindato dai militari del regime. «Gli osservatori hanno parlato con noi», hanno aggiunto. Ma non ci sono state conferme che i campioni siano arrivati a destinazione. La posizione dell’Onu è chiara: «Se verrà accertato l’uso di armi chimiche, questo costituirebbe un crimine contro l’umanità», ha dichiarato ieri il segretario generale Ban Ki-moon. Una violazione che porterebbe a «gravi conseguenze».
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