mercoledì 24 settembre 2014

​In un discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite il presidente Usa rivendica il proprio impegno nella guerra al terrorismo. E in Consiglio di Sicurezza si prepara a chiedere ai 193 Paesi membri di adottare leggi contro l'arruolamento di jihadisti.
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Due giorni dopo aver ordinato attacchi missilistici in Siria, Barack Obama invita la comunità internazionale ad unirsi alla sua lotta contro il «cancro dell’estremismo violento» e ribadisce con forza, come già cinque anni fa, che «gli Stati Uniti non sono in guerra contro l’islam». Dal palco dell’Assemblea generale dell’Onu, che ha avviato ieri il dibattito della 69esima sessione, il presidente, che è stato accusato in patria di indecisione e all’estero di eccessivo interventismo, ha rilanciato con forza il ruolo dell’America in Medio Oriente, promettendo che il suo Paese rimarrà coinvolto nella regione per risolvere la guerra civile siriana, fermare l’avanzata dello Stato islamico (Is) e spingere israeliani e palestinesi verso la pace, che ci voglia «uno o dieci anni». Il tutto, a differenza del suo predecessore, cercando la cooperazione della comunità internazionale. Gli Stati Uniti d’America – ha detto – agiranno all’interno di un’ampia coalizione per smantellare questa rete di morte. Già 40 nazioni vi sono entrate. Oggi, chiedo al mondo di unirsi al nostro sforzo».Il presidente americano si è poi appellato direttamente ai giovani musulmani, invitandoli a respingere l’ideologia di al-Qaeda e dell’Is e a rispettare la loro tradizione di istruzione, innovazione e dignità della vita. «Quando si parla di America e dell’islam, non c’è un noi e un loro, c’è solo un noi. Nessun Dio condona questo terrore. Nessun malcontento giustifica queste azioni, e non può esserci nessun tipo di negoziato con questo genere di male. L’unico linguaggio che assassini come questi capiscono è quello della forza». Un passaggio delicato, perché la legalità dell’intervento americano in Siria è stata messa in dubbio da più parti, dalla Russia all’Iran, ultima dal presidente svizzero, Didier Burkhalter, secondo il quale la decisione usa di bombardare la Siria viola il diritto internazionale. Ma Washington sta lavorando su più fronti per raccogliere consenso. Dopo aver invitato l’Assemblea ad affrontare «l’intolleranza, le divisioni settarie e la disperazione che alimentano l’estremismo violento in troppe parti del mondo», Obama ha convocato e presieduto personalmente una riunione del Consiglio di sicurezza (la seconda volta nella storia dell’Onu che un presidente americano lo fa), sottolineando la sua enfasi su un approccio collettivo all’emergenza dell’estremismo islamico e denunciando che «sono 15mila i jihadisti stranieri andati in Siria da 80 Paesi negli ultimi anni». In precedenza, la sua ambasciatrice all’Onu, Samantha Power, in una lettera al segretario generale dell’organizzazione, Ban Ki-moon, aveva illustrato le ragioni legali degli attacchi, condotti sulla base, aveva scritto, della richiesta dell’Iraq di essere difeso dall’Is e alla necessità di colpire gruppi terroristici che rappresentano un’immediata minaccia per gli Stati Uniti e i loro alleati. Una linea che non tutti riconosco nono valida, ma che Ban sembra aver accettato, dichiarando a sua volta «innegabile» che i gruppi estremisti «rappresentino una minaccia immediata alla pace e alla sicurezza internazionale» e che «un’azione immediata era necessaria per proteggere la popolazione civile dalla barbarie in atto in Siria». Nel suo intervento d’apertura dell’Assemblea, Ban aveva definito quello in corso un anno terribile per i diritti umani e aveva richiamato il Consiglio di sicurezza all’unità. E proprio ieri il Consiglio ha risposto all’appello, approvando all’unanimità la risoluzione americana che condanna i combattenti stranieri che si uniscono ai jihadisti e impegna le singole nazioni ad individuarli e a punirli. Un voto nel quale molti analisti hanno voluto vedere un implicito benestare del Consiglio all’intervento americano in Iraq e in Siria.
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