martedì 18 dicembre 2012
Intervista al principe saudita Alwaleed. Parla un leader della casa reale di Riad: siamo un Paese guida delle regione, ma dobbiamo proseguire sulla strada del cambiamento politico. Voglio mostrare che siamo per il dialogo.
Una sintesi tra modernità e tradizione
COMMENTA E CONDIVIDI
Il principe Alwaleed bin Talaal Bin Abdulaziz Al Saud è certamente uno degli esponenti più in vista della casa reale saudita, impegnato nella sua Kingdom Holding Company come in iniziative culturali e religiose a livello internazionale. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio di Riad. Le interpretazioni sulla natura della primavera araba continuano a divergere mentre il mondo arabo è ancora in fermento...In Tunisia, Egitto e Libia ci sono state sollevazioni contro leader dispotici che non hanno avuto cura del proprio popolo e abbiamo visto quanto è accaduto in Yemen. In Siria le richieste di natura sociale ed economica si sono trasformate in una autentica sollevazione contro Bashar Assad, infiltrata da al-Qaeda e altri interessi forti. Che ne sarà allora del mondo arabo? Parliamo di quattro sollevazioni – cinque inclusa la Siria – su un totale di ventidue Paesi arabi. Restano diciassette Paesi che quantomeno non soffrono di crisi di magnitudo comparabile. E tra questi c’è chi è più stabile, come i Paesi del Golfo, Bahrein incluso. Orbene, l’assunto era: «È come alla fine degli anni ottanta quando crollò il comunismo e i regimi vennero giù uno dopo l’altro». Lo si credeva, ma nel mondo arabo non è accaduto e qualcuno in occidente non è molto lieto che sia andata così. Ho già scritto che i Paesi arabi non raggiunti dalla primavera araba dovrebbero recepire il messaggio, sentire la sveglia: la gente araba ha partecipato a sommovimenti che non intendevano essere anti-americani, anti-israeliani o anti-occidentali. Sono invece moti spontanei, la gente chiede libertà, uguaglianza e fraternità… Liberté, Égalité, principi che tutto il mondo adotta, non solo l’Europa, gli Stati Uniti o il lontano Oriente. Semplicemente, vale lo stesso per il mondo arabo. Spero però che nei Paesi che hanno fatto esperienza di queste rivolte si torni presto alla stabilità. È facile iniziare una rivoluzione, non è facile finirla. Guardate alla Libia, alla Siria... Siamo tutti a favore di una buona rivoluzione veloce, ma ciò che vado ripetendo ai leader arabi è: «Per favore, recepite il messaggio: meglio avere evoluzioni pacifiche che rivoluzioni violente». Spero che nei diciassette Paesi arabi ancora stabili giunga il messaggio che siamo in tempo per le riforme. È la lezione che ci dà la storia, in particolare quella recente.Lei ha scritto: «Le difficoltà verranno superate se saranno usate pazienza, prudenza, buona volontà e astuzia». È la formula con cui l’Arabia Saudita intende approfittare di questo momento per accrescere il suo ruolo guida?Nel mondo arabo l’Arabia Saudita è un Paese guida, come Egitto, Iraq, Siria, che però ora hanno lasciato un vuoto che l’Arabia Saudita sta riempiendo di fatto, non essendoci alternativa. Lentamente ma con fiducia il regno saudita sta tenendo testa ai suoi doveri. I sauditi hanno un atteggiamento deciso sulla Siria e sulla causa palestinese e anche in Iraq e Bahrein siamo proattivi. Il vuoto arabo deve essere riempito. Il potere sulla terra è limitato, non infinito e se qualcuno come l’Arabia Saudita colma un vuoto, lo stesso vuoto non può essere colmato da altri come la Turchia, ad esempio. Per essere però un Paese guida dobbiamo anche compiere delle riforme al nostro interno. Le abbiamo già realizzate in campo sociale ed economico, ma ora occorrono quelle politiche. Abbiamo di fronte delle sfide. Per esempio, far sì che i membri del Majilis Al Shoura (l’assemblea consultiva, ndr) siano scelti tramite elezioni e far votare il popolo, così che in futuro abbia una voce. Questi sono forse solo dei cambiamenti minimi - perché già oggi il re lascia tutte le decisioni importanti al Majilis – ma dato che tutto ciò sta già accadendo, allora è meglio renderlo formale. Come coniugare tradizione e modernità? Quale è il giusto equilibrio tra poteri civili e religiosi insito nelle riforme cui il regno saudita sarà sottoposto?La Mecca è il luogo verso cui un miliardo di musulmani rivolgono le loro preghiere ogni giorno e dove compiono almeno una volta nella vita il loro Haji (il pellegrinaggio alla Mecca, ndr). Ciò premesso, non c’è contraddizione nell’essere islamico e moderno. Noi siamo per la modernizzazione, non per l’occidentalizzazione – tra le due c’è grande distanza. La modernità non si riduce alla sola tecnologia ma implica lo sviluppo di taluni modi di pensiero, l’innesto della razionalità nella dottrina e nello sviluppo delle istituzioni. È l’interiorizzazione dei fondamentali principi di tolleranza, in particolare l’accordo sul fatto che si può essere in disaccordo. È l’accettazione dell’idea secondo cui la regola del governo della maggioranza deve essere temperata dal riconoscimento dei diritti della minoranza. Instillare tali idee nel popolo è un compito arduo che richiede un mutamento di mentalità. Ma abbiamo anche bisogno di modernità politica. La libertà di parola, di stampa, il giusto processo, l’eguaglianza, la libertà: tutto ciò non è estraneo all’Islam, questo è il bello. L’istituto della Shoura esiste da mille e quattrocento anni mentre la Magna Charta – il germe della democrazia occidentale – ha ottocento anni. Dunque la nozione di democrazia islamica precede di seicento anni la democrazia occidentale, ma sfortunatamente esiste chi afferma che un Paese musulmano non può essere una democrazia. Gente come Benladen e al Zawahiri l’11 settembre ha dirottato anche l’Islam e fatto il lavaggio del cervello ai propri adepti. Costoro vanno combattuti, non con la violenza ma con la ragione e la logica, mostrando loro che cos’è il vero Islam. E colmando la distanza tra Islam e Cristianesimo. Non stiamo perdendo questa battaglia. Quando una rivista (30Giorni, ndr) ha messo in copertina l’immagine dell’incontro tra Papa Benedetto e Re Abdullah io dico che è una cosa buona e sono d’accordo. Avvertite nel Regno il sentimento di una crescente secolarizzazione? C’è maggiore distanza tra le generazioni, ci si percepisce meno vicini alla religione? Esistono i laici nel mondo arabo? Certamente. Come in Occidente. Chi ha vinto le elezioni in Tunisia, Egitto, Marocco? Non gli estremisti salafiti ma i più moderati, che rappresentano l’Islam moderato e rappresentano noi. È un trend che dimostra che le masse moderate arabe – o quelle islamiche nei Paesi non arabi – sono maggioritarie. Io stesso mi definisco un musulmano moderato anche se religiosamente molto conservatore: leggo il Corano, aiuto gli indigenti, costruisco moschee. Sa perché ho iniziato con 5 minuti di ritardo questa intervista? Perché era il momento della preghiera. È vero che sono molto conservatore in termini religiosi, ma sono pure laico e liberale dal punto di vista sociale. Queste cose possono andare a braccetto: anche la Turchia è secolare ma è simultaneamente islamica.Ha una definizione di "islamico moderno"? È ciò che sono. Un credente praticante, che compie i cinque precetti dell’Islam: proclama la Shahadah, l’affermazione che Dio è uno; prega cinque volte al giorno, osserva il digiuno annuale, compie l’Haji, e paga la Zakat, l’elemosina. Uno che socialmente può essere di ampie vedute, anche molto liberale, pur sempre rispettando la costituzione dell’Islam. Laico ma religiosamente conservatore, come me. La maggioranza del musulmani non sono gente che incute paura, che vuole le donne chiuse in casa senza patente di guida o urla "si devono colpire i cristiani": queste sono minoranze che non vinceranno! Se lei a Parigi visita il Four Seasons George V, di mia proprietà, trova in ogni stanza dell’albergo una Torah, una Bibbia e un Corano. Siamo tutti figli di Abramo: come possiamo essere anti-semiti? Posso forse essere contro me stesso?Lei notoriamente non ha risparmiato sforzi nel campo del dialogo religioso e culturale. Ha sempre trovato buoni interlocutori?Esperienze eccellenti. Ho donato molto alle università di Georgetown, Harvard, Cambridge ed Edimburgo per istituire centri di dialogo dove musulmani, ebrei e cristiani possano incontrarsi ed ora sto adoperandomi per costruire il più grande centro islamico di Parigi, al Louvre. Voglio parlare con tutti, non soltanto alle élite. Voglio far filtrare il messaggio giù sino alla società, perciò diamo aiuto a progetti  di dialogo in America, Europa, Libano e nell’estremo oriente. Un po’ in tutto il mondo.Non ha mai sperimentato difficoltà o imbarazzo, come musulmano praticante, per via delle sue attività economiche?No, perché con le mie fondazioni do aiuti senza distinzioni. Una volta il vicepresidente di un Paese africano che m’ospitava mi assicurò che la mia offerta "sarebbe andata interamente ai musulmani". Risposi che in quel caso non glielo avrei data, che sarebbe dovuta andare a tutti: questo è l’Islam. Durante l’era del Profeta, Egli era solito incontrare i cristiani e gli ebrei dentro la moschea. Anch’io una volta ho pregato in una sinagoga e in una chiesa e ovviamente qualcuno mi diceva: «Non puoi». Questa gente va combattuta con la ragione e con la logica.Lei sa che con questa intervista celebriamo un anniversario: cinque anni fa, il 6 novembre, per la prima volta un re saudita, re Abdullah, veniva a Roma ad incontrare un papa, Benedetto XVI. La visita e il dono che il re ha portato al papa furono considerati un sorprendente gesto di amicizia.Certo, e credo che l’incontro del Papa con Re Abdullah sia stato il gesto ultimo per gettare un ponte tra Cristianesimo e Islam. Ma di per sé non è abbastanza. Molto di più dovrà accadere, dobbiamo fare di più. E io sono disponibile ad adoperarmi per questo obiettivo.Che cosa è cambiato nel Regno Saudita dopo l’11 settembre? È stato un crimine orrendo, anche contro l’Islam. Noi musulmani siamo perennemente stigmatizzati per i gesti terroristici che accadono in tutto il mondo. È perciò una nostra responsabilità – non solo del Regno ma di tutti i musulmani onesti – fare del nostro meglio per ricordare all’occidente, ai cristiani e agli ebrei che noi siamo assolutamente lontani da tali gesti. Abbiamo molto da lavorare per provare al mondo che siamo pacifici e che la nostra religione è molto vicina al Cristianesimo e all’Ebraismo. Vorrei che gli occidentali lo riconoscessero.  Ho trovato questa sua citazione, dove c’è una risonanza evangelica: «A chi è stato donato tanto sarà richiesto tanto».È una cosa giusta, cui credo. Quando ho iniziato a lavorare m’hanno aiutato il mio Paese, la società e la mia comunità. Perciò credo di dover essere riconoscente. L’Islam ha un fondamento di enorme rilevanza: la zakat, l’elemosina. Ci sono tante somiglianze tra Islam e Cristianesimo. Dobbiamo mostrarle e dichiararle davanti a tutto il mondo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: