lunedì 28 novembre 2011
​Nel rapporto 2011 le cifre di un impegno strenuo che deve fare i conti con 72 Paesi ancora da bonificare e con nuove trappole esplosive lasciate in eredità dai più recenti conflitti. Da oggi in Cambogia l'11° Incontro mondiale di Stati, istituzioni e Ong farà il punto sulla campagna.
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Le mine costituiscono ancora un problema concreto in diverse aree del mondo, ma sono ormai in buona parte conseguenza di un loro uso dissennato nel passato, più che dell’utilizzo attuale.Restano tuttavia alcune emergenze e, ancor più la necessità di creare condizioni di sicurezza, assistenza, riabilitazione fisica e sviluppo socio-economico per le popolazioni colpite.In sostanza una situazione positiva, quella disegnata nelle pagine del rapporto «Monitoraggio sulle mine 2011» presentato nei giorni scorsi a Bangkok, con alcune tendenze preoccupanti. Un "punto" che sarà alla base dell’11° Incontro degli Stati che partecipano alla «Convenzione sulla proibizione dell’uso, conservazione, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione» (Convenzione di Ottawa, 1997) in programma da lunedì 28 fino a venerdì nella capitale cambogiana Phnom Penh con la partecipazione prevista di un migliaio di delegati di Stati, Ong, istituzioni internazionali. «Anno dopo anno vediamo crescere i ritmi della bonifica dei terreni minati – conferma Stuart Casey-Maslen, coordinatore del rapporto –. Ma il contributo dei donatori resta essenziale per consentire che questa tendenza prosegua e renda possibile la restituzione dei loro terreni alle comunità».«Un’azione di sminamenti sostenuta e anche in crescita è particolarmente significativa in questi tempi di incertezza economica. Nonostante le difficoltà, i governi continuano a mostrare un forte impegno per liberare il pianeta dalle mine e per assistere i sopravvissuti», aggiunge Jacqueline Hansen, direttore del Programma di monitoraggio.In effetti i finanziamenti hanno raggiunto nel 2010 il livello più alto di sempre, con 490 milioni di dollari arrivati da 31 donatori e che sono stati utilizzati in 57 Paesi o regioni sui 72 interessati dalle mine. Complessivamente lo scorso anno sono stati utilizzati 637 milioni di dollari (in parte di provenienza governativa locale) nelle varie attività che rientrano sotto la giurisdizione e gli impegni della Convenzione.Un segnale positivo è anche l’adesione di due nuovi Stati membri: Tuvalu il 13 settembre 2011 e Sud Sudan l’11 novembre, primi Paesi ad accedere al Trattato sul bando delle mine dal 2007. Di altri, come Polonia e Finlandia, è prevista l’adesione entro il 2012. Per la prima volta da tempo, tuttavia, nuovi Paesi – non appartenenti al Trattato – hanno usato mine come strumento di conflitto o di controllo del territorio. Si tratta di Siria (che ha minato la frontiera con il Libano nell’ottobre di quest’anno), Israele e Libia dove è stato accertato l’uso di mine contro i ribelli da marzo ad agosto di quest’anno. Il governo di transizione con base a Tripoli ha invece proclamato l’intenzione di procedere a sminamento e distruzione delle scorte di questi micidiali quanto subdoli strumenti bellici. Forte la pressione sul governo sudcoreano affinché avvii la bonifica della zona demilitarizzata che accompagna il confine con l’ostile Corea del Nord, mentre in Cina la limitata produzione di mine sembra ora destinata al solo uso sperimentale.Confermato anche l’uso di nuove mine da parte di gruppi armati in Afghanistan, Colombia, Myanmar e Pakistan. Proprio questi ultimi due sono ancora gli unici Paesi al mondo – su una dozzina che non hanno rinunciato alla produzione – a fabbricare effettivamente mine, seppure sotto controllo governativo e per esclusivo uso interno. Un totale di 87 Paesi sui 158 firmatari del Trattato hanno finora completato la distruzione delle scorte di mine, tra cui l’Iraq, lo scorso giugno; mentre quattro – Bielorussia, Grecia, Turchia e Ucraina – sono in ritardo sui tempi concordati (10 anni) per arrivare a liberarsi delle mine.Un altro dato discordante è l’alto numero di vittime delle mine registrato nel 2010: 4.191, con un incremento rispetto all’anno precedente. Un dato che viene riconosciuto come parziale, nella difficoltà di verificare la situazione "sul terreno" in Paesi che hanno aree di conflitto interno e dove le parti in lotta rendono difficile anche assistenza e riabilitazione.
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