lunedì 19 ottobre 2015
Si avvicina l’appuntamento dei Giochi e l’attenzione si concentra sulla violenza nelle favelas e sui ragazzi di strada. Fiona May: «I potenti facciano qualcosa». Pancalli, presidente del Comitato paralimpico: «Riflessione permanente, non soltanto per le grandi manifestazioni» .
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​«Violenza sui bambini di strada e sulle favelas» da parte della polizia per «ripulire Rio de Janeiro» in occasione delle Olimpiadi. Le parole del Comitato Onu per i diritti dell’infanzia, arrivate il 9 ottobre, hanno fatto correre un brivido sulla schiena di esperti e gente comune, in tutto il mondo. Le “maniere forti” degli agenti non sono una novità in Brasile. Il fatto che le Nazioni Unite denuncino un incremento della repressione, non come episodi isolati bensì come strategia di sicurezza, è grave. Manca quasi un anno all’inizio dei Giochi. Gli sportivi italiani, però, hanno voluto alzare la voce per esortare autorità e opinione pubblica internazionale a prestare attenzione al dramma. Prima e dopo, la conclusione del “grande evento”.«La voce dello sport può essere molto più forte di quella dei politici, ma dinanzi alla sparizione, gli abusi e gli omicidi perpetrati nei confronti dei bambini brasiliani, sono loro, i potenti della terra, quelli che per primi devono assumersi le loro responsabilità e quindi coinvolgere e sensibilizzare l’intera società civile». È il commento e l’appello accorato di una campionessa azzurra come Fiona May, due argenti olimpici nel salto in lungo, ad Atlanta 1996 e Sydney 2000, ora dirigente nella giunta del Coni e membro della commissione Uefa “Fair play and social responsibility”. Insomma una sportiva che di difesa di diritti si intende e che si sente «indignata che si parli di queste “sparizioni” soltanto quando all’orizzonte si prospetta il grande evento sportivo come le Olimpiadi di Rio 2016. Ascoltando queste notizie mi sento direttamente coinvolta, prima di tutto come mamma di due figli di 13 e 6 anni, e il mio grido è: “Giù le mani dai bambini”. Ogni vita va salvaguardata, ma quella dei più piccoli, quindi i più indifesi, deve essere tutelata sopra ogni cosa e questo vale per il bambino di Calenzano dove abito, come quello dell’India o della favela di Rio de Janeiro». A Rio, May è andata per gareggiare nel 1996 e ha toccato con mano la realtà di questa metropoli contraddittoria, però insiste sul fatto che «nel 2014 ci sono stati i Mondiali di calcio e anche allora si tirarono fuori tutte le piaghe sociali del Brasile, poi finito lo spettacolo delle partite si torna al vergognoso silenzio. Ci si dimentica che quei bambini laggiù spariscono e finiscono nelle mani di chissà chi e quelli che vivono per la strada non vanno a scuola, non vengono vaccinati e vivono in condizioni lontane dal rispetto per la dignità umana. Allora dico, fermiamoci un attimo, prima e dopo le Olimpiadi, a riflettere sul perché in Brasile accade ancora tutto questo e oltre alle nostre coscienze smuoviamo una volta per tutte quelle dei governanti di quel Paese». In Brasile si parla di 50mila minori scomparsi (uno ogni quindici minuti), 4mila persone solo da gennaio 2015 nel solo stato di Rio e solo 369 sparizioni di bambini sono state denunciate. «Sono cifre che se confermate fanno spavento, perciò si tratta di capire al netto delle fonti di informazione che cosa stia accadendo realmente. Siamo di fronte a un’apocalisse scatenata nei confronti dei piccoli brasiliani o è la solita “strumentalizzazione” che precede la kermesse planetaria delle Olimpiadi?». Sono i dubbi del presidente del Comitato paralimpico italiano Luca Pancalli. «Sarà un caso, ma prima dei grandi eventi sportivi c’è un attenzionamento particolare rispetto alle contraddizioni sociali del Paese che ospita la manifestazione. Nel 2008 ricordo campagne preventive a difesa dei diritti umani violati alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino, poi chiuso il sipario olimpico mi pare che tanti proclami e riflessioni di coscienza se le siano portate via il vento. Pertanto io farei un duplice distinguo tra il Brasile, grande nazione organizzata che è stata in grado di ospitare un ottimo Mondiale di calcio e che ora dovrebbe fare altrettanto bene nel presentarsi al mondo con le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2016 e l’altro è il volto di un Paese grande, pieno di contraddizioni politiche e sociali che devono trovare forme di riflessione permanenti e non soltanto in prossimità dei Giochi». Lo sport italiano comunque si sta muovendo e quello paralimpico rappresentato da Pancalli sta cercando di dare una risposta concreta per Rio 2016. «Stiamo pensando a una residenza di “Casa Italia” all’interno di un oratorio di Rio, in modo che i soldi dell’affitto non vadano a un privato qualsiasi, ma ad un ente benefico che poi potrà riutilizzarli per dei progetti sul territorio mirati proprio all’educazione e alla salvaguardia giovanile. È un discorso avviato con il Vaticano, ne abbiamo già parlato con monsignor Sánchez e monsingor Ravasi. Certo è una piccola goccia, ma Madre Teresa di Calcutta ci insegna che senza questa “l’oceano avrebbe una goccia in meno”».
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