venerdì 11 ottobre 2013
​Zeidan è stato prelevato nel suo albergo da un gruppo di ex ribelli islamisti, dopo sei ore il rilascio. Avrebbe “pagato” per il ruolo svolto dal governo nell'arresto del terrorista al-Libi da parte delle forze speciali americane. «Non mi dimetterò».
EDITORIALE Mosaico esplosivo di Giorgio Ferrari​
 Il Paese in ostaggio delle milizie
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«Quanto accaduto oggi è un gioco politico interno». Con questo messaggio ambiguo è finito ieri il giallo (sequestro o arresto?) su quanto accaduto al premier libico Ali Zeidan: è stato lui stesso, una volta libero, a pronunciarsi sull’accaduto, sottolineando anche che «se l’obiettivo del mio sequestro era che mi dimettessi, ebbene non lo farò». Certo è che la Libia ha rischiato ieri mattina di precipitare di nuovo nel caos, un’eventualità che in realtà resta possibile anche dopo il rilascio di Zeidan.Il sequestro-lampo del premier libico sarebbe collegato al blitz di sabato scorso a Tripoli con cui un commando di forze speciali Usa ha catturato Abu Anas al-Libi, considerato un capo di al-Qaeda e uno degli organizzatori delle stragi in Kenya e Tanzania nel ’98. L’azione è stato rivendicata da un gruppo di ex ribelli islamisti noto come Camera dei rivoluzionari della Libia, che ha spiegato di aver «arrestato» il premier perché il segretario di Stato Usa, John Kerry, aveva confermato il coinvolgimento del governo libico nel blitz americano. Il capo della Camera sarebbe, tra l’altro, il braccio destro di al-Libi. Successivamente lo stesso gruppo ha smentito il suo coinvolgimento.Più tardi è stato un altro gruppo, la Brigata per la lotta contro il Crimine, a riferire: «Zeidan è nelle nostre mani». Il governo ha accusato entrambi i gruppi islamisti, che attualmente fanno capo ai ministeri dell’Interno e della Difesa, ma lavorano in gran parte in maniera autonoma. Di certo il rapimento è stato opera di ex ribelli islamisti, un tempo tra i protagonisti della rivoluzione anti-Gheddafi e oggi ben radicati nelle strutture di sicurezza di un Paese che non ha ancora trovato una sua stabilità.L’ispiratore della Camera sarebbe Nouri Abusahmain, presidente del Congresso nazionale generale e di fatto Capo dello Stato, indicato da molti anche come il regista del sequestro. Una volta rilasciato il premier, Abusahmain ha però negato qualsiasi coinvolgimento nell’azione.Zeidan è stato prelevato poco prima dell’alba dal suo albergo, il Corinthia, in pieno centro di Tripoli. Il governo transitorio libico ha definito «un atto criminale» il raid; e poco prima che arrivasse la notizia della liberazione, l’esecutivo aveva fatto sapere che respingeva «ogni tipo di ricatto». Dopo la notizia del rapimento una folla si era radunata davanti alla sede dell’unità anticrimine del ministero dell’Interno, per chiedere il rilascio del premier, trattenuto all’interno dell’edificio; e testimoni avevano visto i manifestanti esplodere colpi d’arma da fuoco.Di certo, quello che è accaduto conferma che la Libia vive in momento di forte instabilità. Musulmano moderato, 63 anni, ex ambasciatore e a lungo oppositore di Gheddafi, Zeidan sconta il fatto di aver tacitamente approvato il rapimento di al-Libi e di aver chiesto aiuto all’Occidente per tenere sotto controllo il Paese. Si conferma anche la debolezza del governo, ostaggio delle potenti milizie, in buona parte costituite da islamisti e molte delle quali assorbite all’interno della frammentata struttura di potere locale.Zeidan ha ringraziato «la polizia, l’esercito e i e veri rivoluzionari» intervenuti nella liberazione. Ha inoltre chiesto ai libici di evitare un’escalation di violenza senza dare per il momento ulteriori dettagli sulle circostanze o le ragioni del rapimento.Per il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il rapimento del premier libico «è una chiara sveglia» sulla necessità di ripristinare la stabilità e lo stato di diritto in Libia. Da parte sua la Nato, che aveva chiesto l’immediato rilascio di Zeidan, ha fatto sapere di essere pronta ad intervenire per rafforzare le condizioni di sicurezza in Libia, «ma sta al Paese chiederlo».
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