giovedì 14 novembre 2013
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Un’incrinatura, non una rivoluzione. Un aggiustamento, non una radicale revisione di quello che è stato il più ambizioso (e tragico) esperimento di ingegneria sociale mai attuato nella storia. La Cina è pronta a correggere la politica del figlio unico, una strategia che ha “inchiodato” negli anni la crescita della popolazione, impedendo la nascita di almeno 400 milioni di bambini. Il cambiamento – voluto dal terzo Plenum del Comitato centrale del Partito comunista che si è concluso martedì a Pechino – non è dettato da considerazioni di carattere morale o da conquiste “libertarie”. Ma da preoccupazioni legate all’andamento demografico del gigante asiatico. Qual è, allora, il primo passo deciso dal Partito? Consentire alle coppie, nelle quali uno dei due genitori sia a sua volta un figlio unico, di avere più di un bambino, “privilegio” questo fino ad oggi riservato soltanto alle coppie composte da due figli unici. La “svolta” è l’ennesima conferma del realismo con il quale si muove la classe politica cinese. Tatticismo che nasce dai guasti prodotti dalla legge introdotta ufficialmente nel 1979 – la sperequazione tra maschi e femmine, ad esempio – e dai suoi spaventosi costi sociali e umani: basti pensare ai 13 milioni di aborti praticati nel Paese ogni anno. Come ha riconosciuto la nota rivista Caixin che ha anticipato i risultati del Plenum, «la Cina è diventata una vittima del proprio successo nel controllo della popolazione». Gli indicatori sono tutti preoccupanti. Il tasso di fertilità è sceso a 1,5 figlio per donna, soglia giudicata allarmante dagli esperti. Secondo le Nazioni Unite, la popolazione cinese raggiungerà il picco di 1,45 miliardi nel prossimo decennio, per poi declinare (e invecchiare). Se trenta anni fa, solo il 5 per cento della popolazione aveva più di 65 anni, oggi quella fascia si è ingrossata fino a raggiungere quota 123 milioni, il 9 per cento del totale.Secondo cifre riportate dal sito “Diplomatic”, entro il 2050 gli anziani del Paese saranno 330 milioni, vale a dire pari a un quarto della popolazione dell’intero Dragone. Entro il 2020, poi, la Cina passerà da 944 milioni a 920 milioni di lavoratori. Poi – come scrive Agi China 24 – ci sarà «il crollo: la forza lavoro conterà solo 877 milioni di persone entro il 2030 e 823 milione nel 2040». L’inversione, o quanto meno la relativa liberalizzazione delle nascita, avrebbe effetti benefici a cascata sulla società e l’economia cinese. Primo: tamponerebbe la carenza di manodopera, già patita dall’economia del Dragone.Renderebbe, poi, più sostenibile il sistema della previdenza sociale. E ridurrebbe i costi dell’elefantiaca macchina burocratica deputata al controllo delle nascite (un esercito di 400mila impiegati). Ma avrebbe anche un ritorno politico, eliminando o almeno riducendo la “presa” di uno dei provvedimenti più odiati dai cinesi. E, soprattutto, darebbe fiato a una società che nell’abolizione della famiglia tradizionale vede una delle ferite più gravi mai prodotte sul suo tessuto. Quel culto degli anziani (e degli antenati) reso di fatto impossibile a figli unici troppo soli.
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