lunedì 19 maggio 2014
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«La radice del problema è a livello educativo. Se non si riparte dall’educazione, non ci sarà vero cambiamento». Parola di Samir Khalil, gesuita, docente di islamistica alla Saint Joseph University di Beirut, gran conoscitore del mondo musulmano. «Ora più che mai serve una grande opera di rigenerazione se l’islam non vuole restare ai margini della modernità».Il processo a carico di Meriam è sostanzialmente basato su principi islamici. Eppure c’è chi sostiene che proprio a partire dal Corano è possibile arrivare a conseguenze diverse dalla pena di morte o comunque dalla condanna per apostasia. Dunque, è un problema di interpretazione del Corano?Molti intellettuali musulmani in diverse nazioni del mondo – soprattutto quelli che vivono in Occidente – propongono un approccio al testo sacro che esca dalla pura ’lettera’ e si coniughi con la modernità. Il fatto è che, per l’appunto, sono intellettuali, con scarso seguito tra la gente. La società è molto influenzata dagli imam e dalle guide religiose, che esercitano un grande potere. La maggior parte di costoro si sono formati al Cairo, all’università di al-Azhar che è il baricentro del pensiero sunnita, o in Arabia Saudita, che finanzia migliaia di borse di studio. Questa dinamica soffoca la libertà e ha generato un «pensiero unico» basato su una lettura del Corano formalista e meccanica, avulsa dalla realtà contemporanea, negando la molteplicità delle interpretazioni. Ciò vale in particolare nel mondo sunnita dove la “porta dell’interpretazione” è stata chiusa nel dodicesimo secolo, col risultato di ibernare il pensiero e la cultura, mentre gli sciiti sostengono che l’interpretazione deve continuare nel tempo.Come uscire da questa chiusura?Gli ostacoli sono molti.  Anzitutto bisogna combattere l’ignoranza: in Egitto la percentuale di analfabetismo è al 40 per cento, in altri Paesi siamo a livelli analoghi. Questo impedisce una conoscenza e un accesso responsabile ai testi sacri e lascia milioni di persone in balia delle autorità religiose, molte delle quali – come dicevo – hanno una formazione ingessata e chiusa al dialogo con la modernità, come dicevo prima. Una modernità spesso identificata con l’Occidente e quindi, a maggior ragione, guardata con ostilità. Perché l’Occidente gode di cattiva reputazione?Non solo per motivi legati alle esperienze coloniali, ma soprattutto perché lo si accusa di essere moralmente corrotto, privo di valori sani, preda di un libertinismo sfrenato che promuove pratiche come la pornografia, l’omosessualità, i matrimoni tra omosessuali e via dicendo. Se questa è la modernità, si dice, tenetevela. E qual è l’alternativa proposta a questa deriva?Il ritorno a una società fondata su principi religiosi, come nei primi secoli dell’islam. Il rinnovamento che viene auspicato si basa su un ritorno a un passato aureo, peraltro più immaginato che storicamente fondato. La modernità viene rigettata in quanto nemica di Dio e l’Occidente è vissuto come il suo pericoloso alleato. Per questo va combattuto: tipico il caso di Boko Haram in Nigeria, il cui nome, non a caso, significa «l’educazione occidentale è peccato».Da dove si può ripartire per uscire da questo vicolo cieco?Dall’educazione, da una visione aperta della società, da una considerazione integrale della persona che ne valorizzi tutte le dimensioni, da una distinzione tra sfera religiosa e sfera civile che non pretenda di trovare nel Corano la formula magica per risolvere tutto. Ci vuole una sana laicità, come quella che il cristianesimo ha saputo maturare dopo una lunga e sofferta transizione. E si deve riconoscere che il progresso viene dal riconoscimento di un ritardo, a partire dal quale si può progredire purché si sia disponibili a rinunciare al presupposto di essere sempre e comunque dalla parte della verità. Un detto attribuito a Maometto dice: «Andate alla ricerca della conoscenza, anche se fosse in Cina».
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