venerdì 4 luglio 2014
​Il «Califfato» dell'Isis ha innescato una lotta di potere. Zawahiri per ora tace, ma molti gruppi attendono il suo giudizio.
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La catena di adesioni al “Califfato” proclamato dallo Stato islamico (Isis) è una mera operazione propagandistica, simile a una bolla di sapone destinata a scoppiare e sparire, oppure una vera rivoluzione in seno al jihadismo internazionale? Quale che sia la risposta a questa quesito, posto con insistenza negli ultimi giorni, l’effetto rimane uno solo: la spaccatura all’interno della galassia jihadista tra il neo proclamato califfato e la centrale di al-Qaeda rischia di screditare la causa dell’islam militante agli occhi degli stessi jihadisti. Secondo recenti indiscrezioni il leader di quest’ultima, Ayman al-Zawahiri, dovrà esprimersi presto in un messaggio in merito alla autopromozione di Baghdadi a «califfo di tutti i musulmani del mondo» nonché ai «numerosi vizi sharaitici» in essa presenti. Il messaggio permetterà quantomeno agli esperti di ridisegnare con precisione la mappa dell’islamismo militante e la linea di demarcazione tra due opposti concetti di jihadismo, che ha dato il vita, sin d’ora, a un riposizionamento dei movimenti islamici e che rischia di sfociare, un po’ ovunque, in mini-guerre e scissioni interne. Per ora le adesioni allo Stato del califfato sono arrivate da singoli esponenti degli Ansar al-Sharia attivi tra Libia e Tunisia (tra cui Kamal Razzuk e Bilal Shawashi), da un omonimo gruppo yemenita (sceicco Maamun Hatem), da un gruppo dei taleban pachistani (sceicco Abu Yazid al-Khurasani) e – si dice – anche da Ansar Bayt al-Maqdis di Gaza.  L’ultima importante adesione è arrivata anche da un esponente regionale di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Con un messaggio audio l’emiro Abu Abdullah Uthman al-Asimi ha criticato l’operato della “casa madre” di al-Qaeda che «ci ha abbandonato», difendendo lo Stato islamico dall’accusa di «eresia» e chiedendo a Zawahiri «di chiarire una volta per tutte la sua posizione». Nessun commento per ora del leader di Aqmi, Abdel-Malik Drukdel, da tempo alle prese con numerosi rivali interni e secessionisti. Al silenzio quasi totale di al-Qaeda e dei gruppi che fanno riferimento ad esso (taleban afghani, shabaab somali, Boko Haram) fa eccezione “l’Emirato islamico del Caucaso”, secondo il quale l’unica leadership legittima è quella di al-Qaeda. L’emirato ha vietato ai suoi militanti presenti in Siria di combattere sotto il vessillo di Baghdadi e ha chiesto di rimanere uniti al fronte di al-Nusra. Ma sono proprio i giuramenti di fedeltà di alcuni capi militari di al-Nusra (come è avvenuto a Bukamal, sulla frontiera con l’Iraq) a suscitare il maggiore scompiglio in Siria. Un’adesione, dicono, che ben illustra i metodi violenti adottati da Baghdadi per incrementare i suoi proseliti, visto che le due fazioni jihadiste continuano a trattare altrove con le armi. Altri movimenti aspettano forse nuovi sviluppi per rompere gli indugi. A partire da diverse fazioni sunnite irachene che non si sono ancora pronunciate sulla fedeltà a Baghdadi. In Giordania si parla per ora solo di adesioni individuali. Un leader salafita locale, Mohammed al-Shalabi, ha indicato che la sua corrente è divisa tra i due campi , ma che la maggioranza auspica una riconciliazione tra di loro. La questione califfato ha scatenato un dibattito altrettanto accesso sul Web, con diversi hashtag e account apparsi su Twitter e Facebook, come pure richieste di informazioni sulle modalità di adesione al califfato, prontamente accontentate. «Si è esteso e l’hanno deriso – si legge in un tweet favorevole a Isis –, ha abolito i confini e l’hanno deriso, ha proclamato il califfato e l’hanno deriso. Ma esso va avanti senza badare ai loro ragli».La prossima partita si giocherà presto sul reclutamento, che opera anche attraverso il Web. È di ieri la notizia dell’arresto, lo scorso aprile, di una ragazza americana di 19 anni del Colorado con l’accusa di volersi unire all’Isis.
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