martedì 15 aprile 2014
La crisi globale spinge i lavoratori cinesi a protestare per chiedere condizioni migliori. Una tendenza che sta crescendo da un paio di anni.
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La crisi globale spinge sempre più i lavoratori cinesi a protestare per chiedere condizioni migliori. Una tendenza che sta crescendo da un paio di anni.La notizia più recente arriva da Dongguan, nel sud del Paese,  dove migliaia di lavoratori di una delle più grandi fabbriche di scarpe della Cina sono da ieri in sciopero contro condizioni di lavoro precario. I lavoratori della Yue Yuen (gruppo che produce scarpe per Nike, Crocs, Adidas, Reebok, Asics, New Balance, Puma, Timberland) erano già scesi in piazza lo scorso 5 aprile e da ieri, poiché sono stati bloccati i negoziati con i vertici dell'azienda che impiega oltre 60mila dipendenti nella città del Guangdong, hanno ripreso con più vigore le proteste.Allarmate le grandi aziende clienti, che temono di non poter sopperire alle richieste dei compratori finali. Una delle richieste disattese, oltre alle condizioni di lavoro migliori, è il pagamento delle assicurazioni e previdenza sociale, oltre che degli aiuti sull'immobiliare. I lavoratori, infatti, sono per la maggior parte immigrati da altre province e in base alla legge cinese non possono portare nell'altra provincia la loro assicurazione sociale statale co-pagata dai lavoratori e dall'azienda, a meno che non sia pagata una supplementare. Ma l'azienda non ne vuole sapere di aiutare i lavoratori e da qui le proteste delle migliaia di dipendenti, che vanno a sommarsi a quelle di tanti altri operai sparsi nel Paese per questioni legate alle condizioni di lavoro e ai contratti. Tre anni fa, sempre a Dongguan, 7mila operai di un complesso industriale sono scesi in sciopero contro licenziamenti e tagli di salari. La loro fabbrica, la Yucheng, produce scarpe per conto di società come Adidas, Nike e New Balance. Ci sono stati violenti scontri con la polizia con diversi feriti per strada. I lavoratori temevano che l’impianto sarebbe stato trasferito in un’altra provincia, a jiangxi, dove i salari, perfino peggiori che nel Guangdong.Nel novembre 2011, un migliaio di lavoratori sono scesi in sciopero alla Jingmo, una fabbrica elettronica di Shenzhen, una città del sud della Cina con dieci milioni di abitanti. Questa fabbrica è di proprietà del taiwanese Jingyuan Computer Group, che produce tastiere e altri accessori per Apple, Ibm e Lg. I lavoratori hanno protestato contro uno smisurato aumento delle ore di lavoro; dopo la giornata di lavoro normale, dalle 7 alle 17, con due ore di pausa pranzo, i padroni hanno chiesto il prolungamento fino alle 18 oppure a mezzanotte o perfino alle 2. Questa denuncia è arrivata dal China Labor Watch di Hong Kong, un’organizzazione senza fine di lucro. Alla richiesta dell’aumento dell’orario di lavoro, gli operai hanno lasciato il posto di lavoro per dimostrare per strada e denunciando le cattive condizioni che sono causa di molti incidenti sul lavoro. La loro protesta si indirizzava anche contro il sistematico licenziamento dei lavoratori più anziani e contro il comportamento dei manager che spesso insultavano gli operai.Nella stessa provincia, 400 lavoratrici della Top Form Underwear, una fabbrica di reggiseni, hanno scioperato per cinque giorni contro un taglio dei salari e l’imposizione del cottimo. La loro rabbia è cresciuta dopo che un caposquadra ha offeso un operaio che non aveva compreso un ordine impartitogli in cantonese; la lingua normalmente utilizzata è infatti il cinese mandarino.
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