lunedì 30 aprile 2012
Gli scienziati non riescono per ora a individuare il fattore scatenante. Oggi è riconosciuta come malattia professionale, ma i danni umani e sociali sono altissimi: molte le vedove e gli orfani, in alcune zone i giovani braccianti non trovano moglie.
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«Scusi, non posso fermarmi molto. Sto finendo il ripieno. Devo consegnare la gallina pronta fra un’ora». Parla in fretta Ursula Argentina, 45 anni, vedova da quando ne aveva 39. Non ha tempo, i minuti non le bastano mai. Sono appena le 8 del mattino sulla costa pacifica del Nicaragua, dove vive, ma la sua giornata è cominciata alle 2, l’ora abituale in cui Ursula si alza per preparare il pane e le tortillas. Li vende nei campi dove lavorano i raccoglitori di canna da zucchero, motore economico della zona. A volte capita che qualche famiglia benestante le commissioni piatti su ordinazione, come la gallina che Ursula disossa mentre parla con Avvenire. «Con questi lavoretti riesco a racimolare 1.200-1.300 cordobes al mese (poco più di 50 dollari). Non è tanto, ma è un aiuto», racconta Ursula. La pensione di reversibilità che riceve per il marito morto – 2mila corbes (meno di 90 dollari) – non basta a mantenere i tre figli minorenni. «Gli altri otto sono grandi e lavorano», aggiunge. Come il defunto padre, Luis, i maschi della famiglia sono raccoglitori di canna da zucchero, impiegati nel Ingenio San Antonio, succursale della Nicaragua Sugar State Limited, principale azienda produttrice della potente famiglia Pellas. E proprio come Luis, il maggiore – che ora ha 31 anni – soffre di “mal di reni”. «È malato da quattro anni. Non c’è cura. Il male lo sta prosciugando. Come suo padre. E prima di lui suo nonno e i quattro zii». L’oscuro “mal di reni” che sta decimando la famiglia di Ursula si chiama, in realtà, malattia o insufficienza renale cronica (Erc): quando la si contrae, lentamente, i reni smettono di funzionare. È un killer diffuso in tutto il Pianeta, ma si accanisce con particolare crudeltà sulla costa pacifica dell’America centrale. In quella ristretta fascia di terra – lunga 1.130 chilometri e attraversata dalle frontiere di sei Paesi – si concentra un’impressionante quantità di casi di Erc. Che qui uccide in media 2.800 persone ogni anno. Di questi, 800 solo in Nicaragua – per un totale di quasi 7mila in 12 anni, i colpiti sono 9mila – dove è diventata la prima causa di morte. Tanto che la comunità dove abita Ursula, La Isla – non lontano da Chichigalpa, a 130 chilometri dalla capitale, Managua – è stata ribattezzata “La Isla de las viudas” (L’isola delle vedove). In Salvador è il secondo fattore di mortalità tra gli uomini. Quasi sempre le vittime sono i poveri: cañeros, cioè raccoglitori di canna, contadini o minatori. Persone sottoposte a considerevoli sforzi fisici, a temperature estreme, a disidratazione, a ritmi feroci, dato che a volte vengono pagati a cottimo. Spesso, inoltre, entrano in contatto con sostanze tossiche. Gli scienziati non hanno ancora individuato il fattore scatenante dell’Erc. Di certo si sa che in Centramerica la malattia ha caratteristiche particolari. A differenza di quello che accade nel Nord del mondo, non è associata a diabete e ipertensione ed è, in genere, letale. Spesso perché le cure, come la dialisi, sono troppo dispendiose per gli ammalati. L’alta incidenza su alcuni gruppi di lavoratori suggerisce – secondo i ricercatori – che l’Erc sia in qualche modo legata al tipo di attività svolta. In Nicaragua, dal 2005, il “mal di reni” è ufficialmente riconosciuto come malattia professionale. «È stata una dura lotta – racconta Carmen Ríos, presidente dell’Asociación nicaraguense de afectados por insuficiencia renal crónica (Anairc), che raggruppa 400 persone tra malati e familiari –. Abbiamo cominciato a organizzarci nel 1996». All’epoca, il marito di Carmen era già grave: si è spento sei anni dopo, nel 2002, prima di vedere approvata la legge 185 che concede una pensione sociale ai colpiti e alla famiglia, in caso di morte. Grazie alla normativa, ora, i malati ricevono tra i 50 e gli 80 dollari di indennizzo e assistenza medica di base. «Ma c’è ancora molta strada da fare. Spesso le richieste di indennità vengono rifiutate perché i lavoratori non hanno il minimo di 104 settimane di contributi versati. È un’assurdità: molti si ammalano prima di raggiungere la soglia e, poi, l’azienda non li fa più lavorare», spiega Ríos. Dal 2006, l’Associazione Italia-Nicaragua fornisce all’Airc un sostegno per garantire cibo e medicine a 15 colpiti. «È un aiuto importante: facciamo ruotare i beneficiari ogni tre mesi in modo che tutti possano usufruirne». Per dare una speranza ora a Ursula e alle altre centinaia di vedove della sua comunità, l’Ong La Isla promuove, dal 2008, studi scientifici sull’Erc e cerca di offrire possibilità di lavoro alternative alla canna da zucchero. «In attesa che la ricerca scopra la causa e, dunque, la cura, organizziamo corsi di cucito, di pc, di artigianato per spezzare la catena di morte che tormenta questa zona dell’America centrale – spiega l’operatrice Viola Cassetti di La Isla –. I ragazzi sono costretti a raccogliere canna perché non hanno altre opportunità. E molti si ammalano». Tanti, troppi muoiono. «Un raccoglitore di canna di vent’anni mi ha detto che non trova una fidanzata perché le ragazze hanno paura di sposare i cañeros e restare vedove, come le mamme», conclude Viola. Ursula, intanto, ha finito di cucinare. Sistema pane, tortillas e frittelle in un panno e si avvia verso il campo. «È tardi», sospira mentre avanza curva sulla strada sterrata.
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