mercoledì 20 novembre 2013
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​«Siamo davanti a una svolta». Amine Kammourieh, analista del prestigioso quotidiano libanese an-Nahar è molto preoccupato. «Questi attentati rappresentano un chiaro segnale sull’aumento del livello di pericolosità nel nostro Paese e nell’intera regione».Per quale motivo? Forse per il ricorso all’azione di attentatori kamikaze?Non solo. Certamente, il ricorso ai kamikaze rappresenta una novità di non poco conto rispetto alle azioni terroristiche precedenti, ma la svolta principale di cui parlo riguarda l’aver scelto come obiettivo la sede dell’ambasciata iraniana e non, come avveniva prima, quella di un partito da tutti definito “filo-iraniano”, ossia Hezbollah. In altre parole, attraverso questo duplice attentato la “mente” di questi attentati ha inteso mandare un messaggio: d’ora in poi bisogna colpire il burattinaio piuttosto che i suoi agenti. E questo prelude a nuovi attentati in futuro. Perché la scelta del territorio libanese per questo tipo di messaggi?Si sa che il Libano è sempre stato una sorta di “casella postale” per attori regionali e internazionali. La scelta di Beirut, e non di Damasco ad esempio, è indicativa del rischio che corre il nostro Paese. A favorire questa scelta, il fatto che il Libano si trovi con un governo dimissionario dal marzo scorso, e questa crisi si ripercuote anche sulla sicurezza interna. In passato le rivendicazioni erano arrivate da gruppi legati all’opposizione siriana per reagire contro il coinvolgimento di Hezbollah nella guerra in Siria. È valida anche oggi questa ipotesi?I sospettati sono numerosi, e le rivendicazioni che arrivano spesso non rispecchiano l’identità dei veri autori. Ci possono essere dietro gli jihadisti, come pure i servizi di un Paese del Golfo o persino i servizi israeliani. Il fatto che Teheran si sia affrettata ad accusare Israele piuttosto che i jihaditi può anche rientrare nella strategia iraniana che vorrebbe evitare di cadere nella trappola del conflitto confessionale.Eppure una rivendicazione di al-Qaeda dipinge l’Iran come vittima del terrorismo e agevola la sua partecipazione alla conferenza di Ginevra 2, o no?Ginevra 2 – se si terrà – non porterà a nessuna soluzione alla guerra siriana. L’Iran ha in testa ai suoi obiettivi due punti. Uno, rompere il suo isolamento con gli Stati Uniti; due, consolidare la sua influenza nella regione. L’appoggio di Teheran al regime di Assad non ha intaccato questa influenza?Non credo. In Siria, da semplice alleato l’Iran è diventato un protagonista principale, in Libano si esprime – attraverso Hezbollah – con la retorica del vincitore, in Iraq occupa i tre quarti del potere, nello Yemen conta sui ribelli di Houthi. Queste “carte” avrebbero mandato su tutte le furie i governanti sauditi, specie in assenza di un accordo bilaterale sulle questioni pendenti. Il Libano celebra venerdì il suo 70esimo anniversario di indipendenza. Un commento?A 70 anni si comincia a invecchiare. E il nostro Paese lo dimostra perfettamente.
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