mercoledì 12 ottobre 2016
​Violenze ed esclusioni dei cristiani: così colpisce il nazionalismo. L'ultimo caso: posti nelle scuole per categorie tradizionalmente benestanti. (Stefano Vecchia)
Il dolore dei dalit nell'India delle nuove caste
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Lo scorso mese di agosto il massimo tribunale del Gujarat ha dichiarato illegittima l’ordinanza con cui l’esecutivo locale guidato dalla signora Anandiben Patel, nazionalista, erede nella carica dell’attuale primo ministro indiano Narendra Modi, aveva deciso di riservare il 10% delle iscrizioni scolastiche a appartenenti a caste tradizionalmente considerate benestanti o comunque influenti. Una decisione che di fatto riduce le quote riservate ai gruppi svantaggiati, e che è facilmente leggibile nel senso di garantire invece privilegi a gruppi da cui esce la maggior parte della leadership del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito al potere, e dei movimenti dell’induismo militante, ma che è anche coerente con la situazione che vede le alte caste in arretramento sul piano sociale e soprattutto economico. Una settimana dopo, però, la Corte suprema indiana ha ribaltato la sentenza, decidendo di accogliere la richiesta avanzata dal governo del Gujarat. Una decisione in sé storica, ma che – al di là di quelle che ne saranno le conseguenze pratiche a livello locale e centrale – solleva perplessità e accentua le molte contraddizioni dell’immensa India. L’India moderna subisce la sua eredità castale che ha trovato nei secoli una incredibile capacità di riprodursi e contemporaneamente di riprodurre la sua necessità culturale. Al punto da affiancarsi a concezioni socio-religiose d’importazione, anche quando queste - con la dominazione musulmana e britannica - l’hanno segregata nell’illegalità e cercato di contenerne il ruolo. La persistenza di centinaia di caste a base clanica, professionale, geografica è negata dalla Costituzione del 1950 che nell’articolo 15 proibisce ogni discriminazione basata su religione, razza, casta, sesso, luogo d’origine, e nell’art. 16 stabilisce pari opportunità tra tutti i cittadini rispetto agli impieghi pubblici. Come conseguenza, la legge ha garantito a una complessa serie di gruppi variamente sfavoriti dalla dalla propria condizione socio-economica impieghi pubblici; accesso a scuole, università, servizi socio-sanitari; tessere alimentari. Da tempo, anche i gruppi di origine dalit (gli ex "intoccabili", fuoricasta nel sistema socio-religioso tradizionale) cristiani e musulmani chiedono che a essi siano estesi i privilegi previsti per i dalit indù o di fedi minoritarie derivate dall’induismo, ma inutilmente. La decisione del governo del Gujarat, inoltre, avrebbe come conseguenza una frammentazione sul piano educativo delle garanzie fornite ai meno privilegiati e su questo aspetto aveva sentenziato in modo negativo l’Alta corte del Gujarat. La decisione della Corte suprema, il 9 settembre, ha invece tenuto conto delle reali condizioni di arretratezza all’interno delle caste più elevate in un contesto che da tempo non garantisce benessere e privilegi un tempo certi. L’espandersi di nuovi stili di vita ha di fatto reso inutili molti funzioni e privilegi della casta sacerdotale, ad esempio. Reazione sfavorevole alla sentenza della Corte suprema è arrivata da diversi esponenti religiosi. Tra questi, il segretario della Commissione per i dalit e per i popoli indigeni della Conferenza episcopale cattolica indiana, padre Z. Devasagayaraj. Il sacerdote-attivista ha indicato come la decisione contrasti con la pretesa di migliorare le condizioni di settori sfavoriti della società. «Il sistema di quote è a tutela dei più deboli, degli emarginati, ma chi è di alta casta non è emarginato sociale, ha una posizione certa nella società», ha commentato padre Devasagayaraj. La comunità cristiana, il 2,3% dell’intera popolazione di 1,2 miliardi non è a sua volta omogenea e le linee di divisione non solo solo quelle delle denominazioni di appartenenza. Al cristianesimo si sono convertiti – fino a diventare maggioritari – molti membri delle comunità tribali e indigene (adivasi) di origine animista, come pure i dalit di origine indù. Indubbiamente, in parte per sfuggire al sistema castale e alle sue discriminazioni per nascita. Una situazione che sempre più spinge anche la leadership cristiana a chiedere migliori opportunità per gruppi meno favoriti all’interno della comunità. La costituzione stabilisce la laicità dello Stato e sostiene il diritto fondamentale di religione o credo che non può essere violato da alcun governo. Tuttavia esistono leggi che o discriminano in base a religione e/o casta, oppure sono applicate in modo discriminatorio, oppure ancora deliberatamente non vengono applicate per alcuni gruppi, come ad esempio i cristiani. Non è un caso che le minoranze religiose siano nel complesso più povere della media e discriminate socialmente. Secondo l’ultimo censimento, quello del 2011, solo il 6,5% ha accesso a una qualunque forma di finanziamento istituzionale, il 40% delle famiglie non dispone di servizi medici, il 35% non può accedere all’istruzione e il 65,02% vive in abitazioni precarie o provvisorie. Nell’ultimo quinquennio, inoltre, molti nelle comunità religiose minoritarie, inclusi cristiani, sono diventati vittime di violenza organizzata. La reazioni non sono mancate, ma perlopiù si sono dimostrate inefficaci, a maggior ragione dalla presa del potere centrale oltre due anni fa da parte dei nazionalisti filo-induisti guidati dal Bharatiya Janata Party. Solo pochi giorni fa, il 16 settembre, rappresentanti di dalit cristiani si sono associati a una manifestazione di partiti e di gruppi della società civile per sottolineare all’esterno del Parlamento di New Delhi che la violenza crescente verso di loro non è più tollerabile e che la sorte di 201 milioni di abitanti della grande India meritano rispetto e integrazione che passano anzitutto dal riconoscimento della loro identità. «Questo governo non è interessato alla sorte dei dalit, non li considera come cittadini a tutti gli effetti», ha indicato il segretario generale del Partiti comunista dell’India, Sitaram Yechury, durante la manifestazione. Al suo fianco il gesuita A.X.J. Bosco, sacerdote-attivista per i diritti dei dalit che ha segnalato come il Bjp e gli alleati di governo non diano alcun valore alle masse degli ex "intoccabili", «considerate come una minoranza religiosa e non come parte dell’India». Per questo è tempo di una reazione, incentivata anche dal rischio che le quote riservate ai gruppi sfavoriti vengano ulteriormente erose dalla loro attribuzione a caste finora escluse. «È solo l’inizio», hanno promesso gli organizzatori dell’evento di Delhi entro dicembre in tutto il paese «mostreremo la nostra forza per ottenere i nostri diritti».
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