lunedì 12 novembre 2012
Il Pakistan ieri ha celebrato la giornata Onu dedicata alla 14enne ferita dai taleban perché ha denunciato la discriminazione dei suoi coetanei. La Banca mondiale ha annunciato che pagherà l’istruzione a tre milioni di piccoli scolari. Nel Paese gli abusi contro le ragazzine sono continui e spesso impuniti.
Datele il Nobel di Paolo Lambruschi
Il dramma dei bambini pachistani esclusi dalle scuole
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​Malala è uno dei tanti, troppi esempi delle difficoltà che soffrono i minori in Pakistan. Problemi che mettono in evidenza le difficoltà del grande Paese asiatico e dei suoi 190 milioni di abitanti a garantire un presente dignitoso e una prospettiva di vita migliore a un gran numero di giovani. La Costituzione pachistana è sulla carta tra le più liberali del mondo islamico. Spesso, però, il dettato della Carta fondamentale resta lettera morta. Nonostante buona parte della società civile pachistana abbia da tempo individuato negli estremismi, nel settarismo e nell’odio d’ispirazione religiosa minacce ancora più stringenti della povertà cronica. Il Paese vive ormai da oltre vent’anni la tensione tra la lettera della legge, gli ideali dei fondatori e una realtà fatta di crescenti divisioni e sopraffazione. Gli indicatori, anche ufficiali, oltre che le analisi indipendenti, forniscono dati sconfortanti per quanto riguarda l’educazione. Questa assorbe appena il 2,2 del Pil pachistano, ovvero circa 780 milioni di euro. Programmi obsoleti, mancanza cronica di fondi per aule, migliorie e ricerca, calo percentuale del numero degli insegnanti sulla popolazione studentesca sono solo alcuni dei gravi problemi del sistema educativo locale. La crisi arriva da lontano. Ben prima che i taleban imponessero con ferocia il divieto di studio alle ragazzine, giustificato in base a una fuorviante interpretazione della religione. La fuga dalle aule, però, è una tentazione o una necessità che diventa certezza per troppi bambini e ragazzi anche nelle regioni non sottoposte alla presenza e al ricatto degli islamisti armati. Su un totale di 27 milioni di allievi, ben 5,1 milioni hanno abbandonato gli studi. Una parte consistente si aggiunge ai 14 milioni di minori che costituiscono un quarto della forza-lavoro del Paese. Centinaia di migliaia sono costretti a una situazione di schiavitù sovente connessa con debiti contratti delle famiglie. La furia degli integralisti – alimentata dalla “legge antiblasfemia” che consente arresto e potenzialmente pene severe anche in presenza di accuse arbitrarie purché da parte di musulmani – continua a colpire. Come evidenziato dalla vicenda di Rimsha, la 14enne accusata di avere bruciato pagine di un libro propedeutico al Corano lo scorso a agosto e per questo in attesa di giudizio per oltraggio alla religione. Ultimo episodio di rilievo l’incendio il 31 ottobre di un prestigioso istituto femminile della città di Lahore, il Farooqi che ha privato delle aule 3mila studenti e 200 insegnanti “colpevoli” di avere utilizzato un’errata traduzione inglese di brani del Corano. Una situazione a dir poco difficile che rende di conseguenza incerto il futuro del Paese, oggi al 145° posto nell’Indice di sviluppo umano e dove le leggi dello Stato contrastano con quella coranica (sharia) applicata sui musulmani, da un lato; con le consuetudini locali e tribali dall’altro. Come riproposto nei giorni scorsi dalla vicenda di Sidra, bambina di 9 anni data in “risarcimento” dal padre a un ricco proprietario terriero per mettere a tacere le accuse di avere partecipato al rapimento e allo stupro della figlia; come per le 13 minorenni “cedute” in moglie il mese scorso a membri di un clan rivale per risolvere una faida tribale. Una deriva politica, di valori e sociale. A farne le spese sono soprattutto le ragazze, vittime di una serie di codici antichi e tribali che ne ribadiscono la sottomissione. Gli abusi colpiscono sovente quante appartengono alle minoranze religiose, costrette a matrimoni “riparatori” dopo aver subito violenza e d essere state costrette a convertirsi. Quasi impossibile per loro ottenere giustizia. Come pure per le giovani cristiane e indù che la povertà costringe a lavorare in condizioni prossime alla schiavitù in casa di musulmani benestanti, sotto il rischio costante di sopraffazione. Abusi coperti spesso da una rete di protezione politica o di clan, e avvallati dal disinteresse della polizia e degli inquirenti a fare giustizia. Violenza quotidiana e invisibile e impunità sono un fardello pesante per le spalle di questo Paese. Che ne rallentano il passo verso il futuro.
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