lunedì 1 giugno 2015
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Anche lo Stato islamico vanta dei «dipartimenti d’oltremare». Infatti, il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi non solo dimostra di essere, come recita il suo slogan, «saldo e in continua espansione» nel suo nucleo siro-iracheno, ma di espandersi anche in terre più lontane. Poco importa se le neo proclamate “province” non abbiano una solida assise territoriale. Tra le “wilayat” staccate geograficamente dai territori metropolitani, spicca quella del Sinai, proclamata in seguito all’adesione del gruppo Ansar Bayt al-Maqdis (i Partigiani di Gerusalemme) allo Stato islamico, avvenuta nel novembre 2014. Il gruppo è la fazione militante più attiva in Egitto ed è autore di diversi sanguinosi attacchi contro l’esercito e le forze di sicurezza del Cairo. Ci sono poi le tre province in cui è stata divisa la Libia: Barqa (la Cirenaica) con epicentro a Derna dove è nato il primo emirato del Nordafrica, seguita dalla Tripolitania e dal Fezzan, nel deserto libico. Nel suo messaggio del 13 novembre scorso, Baghdadi ha parlato dell’estensione della sua autorità ad altri territori ancora, citando espressamente l’Algeria e lo Yemen, ancora una volta grazie all’adesione al Califfato (ma meglio parlare di vere e proprie scissioni) di gruppi precedentemente legati ad al-Qaeda. Il 16 febbraio scorso è stata inoltre proclamata la nascita di una nuova provincia nel Khorasan, una zona che nella geografia islamica corrisponde agli attuali Pakistan e Afghanistan. La proclamazione di questa provincia ha rappresentato una vera sfida alla tradizionale roccaforte di al-Qaeda di Ayman al-Zawahiri, che vede ridursi la sua influenza. Qui la prima adesione all’Is era arrivata dall’ex portavoce dei taleban pachistani, Shahidullah Shahid, cui ha fatto seguito il giuramento di fedeltà allo Stato islamico di dieci “emiri” taleban del Waziristan. La nuova wilaya è stata affidata a Hafiz Said Khan, coadiuvato dallo sceicco Abdurrauf Khadem, alias Abu Talha. Ogni Wilaya ha, infatti, un proprio Wali (governatore), un emiro militare, un altro sciaraitico (incaricato di dirimere le questioni giuridiche) e un altro ancora addetto alla sicurezza. E persino un ufficio stampa. L’ultima “wilaya” in ordine di tempo è quella nata l’8 marzo scorso nel nordest della Nigeria, con l’adesione di Boko Haram, portando a trentuno il numero dei movimenti jihadisti nel mondo che si sono uniti allo Stato islamico, secondo un censimento effettuato da IntelCenter, un centro di sorveglianza americano sull’attività dei gruppi estremisti.Si ritiene che l’adesione di Abubakar Shekau, leader del gruppo terroristico nigeriano, sia stata dettata dalla grande offensiva condotta da quattro Stati africani (Nigeria, Ciad, Niger e Camerun) contro Boko Haram. Tuttavia, essa non ha mancato di suscitare grandi entusiasmi a Mosul e Raqqa, le due “capitali” dell’Is. Grazie a questa adesione, infatti, lo Stato islamico può propagare la sua influenza lungo tutta l’Africa occidentale e orientale, un’area fino a poco tempo fa chiusa al suo richiamo, ed esercitare una rinnovata attrattiva su altri movimenti jihadisti attivi nel continente nero. Tra questi, il movimento degli shabaab somali, attraversato sin dall’uccisione del suo leader Ahmed Abdi Godano, nel settembre scorso, da diverse tendenze. Negli ultimi mesi, infatti, è cresciuto tra i leader del movimento il dibattito circa l’opportunità di unirsi al Califfato oppure rimanere legati alla struttura mondiale di al-Qaeda, alla quale aveva aderito nel 2012. Alcuni osservatori ritengono che la tentazione di giurare fedeltà all’Is sia molto forte tra i membri di al-Shabaab, anche per evitare di essere considerati i “paria” del jihad. I trentuno movimenti affiliati al Califfato assicurano un’influenza all’Is ben superiore alla sua organizzazione amministrativa. Essi coprono, infatti, un territorio che va dall’Algeria all’Indonesia, ovvero da Jund al-Khilafah (una scissione dell’Aqmi, la filiale africana di al-Qaeda) alla Jemaah Islamiyah. In mezzo ci sono, oltre ai gruppi citati prima, Ansar al-Sharia della Libia e i jihadisti tunisini che hanno rivendicato l’attentato al Museo del Bardo costato la vita a 21 turisti, tra cui quattro cittadini italiani. Altri dieci gruppi, secondo IntelCenter, hanno manifestato il loro sostegno all’Is senza aver formalmente siglato un’alleanza.
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