giovedì 25 aprile 2013
Figli di immigrati, sentono il richiamo dell’integralismo. «Il loro rientro in Europa dalla Siria sarà una minaccia». Il capo dell’anti-terrorismo dell’Unione, Gilles de Kerchove, lancia l’allarme sui giovani europei che vanno a combattere a fianco dei ribelli anti-Assad .Sarebbero tra il 7 e l’11% degli stranieri sul terreno.
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Centinaia di cittadini europei sono a fianco dei ribelli siriani nella guerra al regime di Bashar al-Assad. Accanto a quelli che l’Occidente considera ribelli “cattivi”: integralisti sunniti. A rivelarlo è il coordinatore dell’antiterrorismo dell’Unione europea, Gilles de Kerchove, intervistato dall’emittente inglese Bbc. De Kerchove ha riferito che il numero dei volontari partiti dal Vecchio continente è di 500 circa, in massima parte provenienti da Irlanda, Regno Unito, Belgio e Francia. La ricerca citata, elaborata dal Centro internazionale per gli studi sulla radicalizzazione (Icsr) del King’s College di Londra, non ha individuato un flusso di partenze verso il fronte siriano dall’Italia. Gli europei ammonterebbero al 7-11% degli stranieri dispiegati sul terreno. In realtà, il contro-spionaggio della Federazione russa, nella persona del colonnello Lev Korolkov, ha già dato l’allarme in proposito all’inizio di aprile, parlando di «una rete efficace che possiede numerosi centri di arruolamento presso le gigantesche diaspore di oriundi dei Paesi islamici». Secondo Mosca, più sensibili alle sirene integraliste sono le quarte generazioni di immigrati, arruolate da ex combattenti con soldi sauditi e qatarioti. Tutte rivelazioni che rafforzano l’inquietudine della comunità internazionale sulla natura dell’esercito ribelle e sulle implicazioni del conflitto. «Non tutti loro sono radicali quando partono, ma molto probabilmente alcuni lo diventano lì, vengono addestrati», ha detto il coordinatore De Kerchove, chiosando: «Questo potrebbe rappresentare una seria minaccia quando rientrano» nei Paesi dai quali sono partiti. Così la guerra siriana, di cui non si riesce a intravvedere né una soluzione politica né tantomeno un esito militare, diventa sempre più una questione mondiale. La presenza sul territorio siriano di jihadisti tunisini, egiziani, caucasici, iracheni e asiatici è ormai cosa nota: sul cadavere di numerosi combattenti ribelli sono stati rinvenuti documenti attestanti nazionalità extra-siriane; lo stesso vale per l’esercito di Damasco, affiancato da ufficiali scelti iraniani e libanesi sciiti.Ma del flusso europeo non si era mai parlato apertamente. I dati diffusi giungono in un frangente critico: in seno all’Ue, la Gran Bretagna preme affinché l’embargo sulle armi venga interrotto per fornire supporto ai ribelli. Così anche Parigi, pronta a sganciarsi dagli altri Paesi europei. Intanto, Washington incrementa il pacchetto di aiuti «non letali» agli insorti. Ma il rischio è alto: la Siria del dopo-Assad potrebbe essere, nel migliore dei casi, in mano alla Fratellanza musulmana, come l’Egitto e la Tunisia. Nel peggiore dei casi, un feudo salafita con ambizioni regionali. Uno scenario apocalittico per Israele, Libano, Giordania, Turchia e via dicendo. Indicativo, dunque, il comunicato dell’Esercito siriano libero di ieri, in risposta ai volontari sunniti libanesi: «Come comando supremo dell’Esl, ringraziamo ma respingiamo qualsiasi appello alla jihad in Siria e la presenza di combattenti stranieri». Come i miliziani islamisti di Jabhat al-Nusra (Fronte di liberazione della Siria), che giurano fedeltà all’Els, ma esibiscono l’alleanza con Ayman al-Zawahiri e al-Qaeda Iraq. Un conflitto nel conflitto sembra ormai dietro l’angolo.
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