venerdì 5 luglio 2013
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​I Fratelli musulmani si vendicheranno. Siamo entusiasti ma allo stesso tempo preoccupati». A Yussuf bastano due aggettivi per descrivere lo stato d’animo di un’intera comunità, quella dei cristiani copti d’Egitto. Lui, che di cognome fa Boules (il nome di Paolo di Tarso) è uno dei tanti copti ortodossi che vivono a Shubra, il quartiere cairota dove più alto è il numero di cristiani. Lo scorso 30 giugno ha abbandonato per un attimo la paura di ripercussioni da parte degli Ikhwan ed è sceso in piazza Tahrir, assieme alla sua famiglia.«Non avevo mai manifestato, neppure due anni fa, ai tempi della caduta di Mubarak – racconta – ma questa volta era diverso. Dovevamo alzare la voce contro un’idea di Egitto settario e conflittuale che non ci appartiene. Da oggi si apre una nuova pagina. Speriamo e preghiamo che non sia bagnata di sangue come quelle precedenti». Le premesse sembrano esserci già tutte. È notizia di ieri l’assalto alla parrocchia cattolica di San Giorgio, nel villaggio di Delgia, vicino Minya, circa duecento chilometri a sud della capitale. Le violenze sono iniziate nel pomeriggio di mercoledì, addirittura prima dell’annuncio della deposizione di Mohamed Morsi, da parte di Abdel Fattah al-Sissi. Gruppi di sostenitori del presidente uscente hanno prima saccheggiato e poi dato alle fiamme la casa del parroco e i locali dei gruppi parrocchiali. «Finora non ci sono state vittime, né feriti – la testimonianza di Botros Fahim Awad Hanna, il vescovo copto cattolico di Minya – ma l’allarme continua». Il villaggio è sotto assedio, sbarrata ogni via d’accesso. E la polizia locale sembra ormai sotto scacco degli islamisti. A Minya, poco distante, i morti sono già almeno tre, due dei quali erano per l’appunto poliziotti.Minacce e intimidazioni contro le comunità cristiane si intensificano nelle ultime ore. Le ore più difficili, dopo la giornata di euforia di mercoledì notte. «La preoccupazione c’è – spiega Laura Hakim, direttrice dell’edizione francofona del <+corsivo>Watani<+tondo>, il settimanale copto d’Egitto – ma in questo momento sta prevalendo la fiducia nel nuovo corso. Se l’Esercito sarà a fianco della gente, come pare ormai chiaro, non ci sarà da aver timore. Il generale al-Sissi ha ritardato il suo discorso televisivo, nella serata di mercoledì, per permettere ai militari di schierarsi a protezione dei luoghi più sensibili. La situazione è cambiata. Ora non abbiamo più paura».Per i copti, inoltre, la caduta di Morsi rappresenta l’occasione per scrollarsi di dosso lo stigma dei “traditori” del movimento rivoluzionario. Galeotto era stato il voto presidenziale dello scorso anno, quando la maggioranza dei cristiani scelse, sia al primo turno che al ballottaggio, il candidato Ahmed Shafiq, ritenuto dai più un residuato dell’era di Mubarak. «La caduta di Morsi è stata un vero miracolo – dice ancora Laura Hakim – ha unito nuovamente il popolo di piazza Tahrir. I copti e il resto degli egiziani ora vogliono avere fiducia in un futuro migliore, dal punto di vista economico, politico e sociale». «Stiamo dimostrando che siamo un popolo civile – conviene anche il patriarca di Alessandria dei copti cattolici, Ibrahim Isaac Sidrak –, resta il pericolo di sentimenti di vendetta da parte dei sostenitori militanti di Morsi. Noi dobbiamo convincerli che nel Paese c’è posto anche per loro. Ma devono comportarsi come un partito politico e non come uno strumento per imporre egemonie religiose».
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