giovedì 26 marzo 2015
​Venerdì il problema approda in Consiglio di Sicurezza. È la prima volta. Presente il patriarca caldeo di Baghdad, monsignor Sako.
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​La questione dei cristiani perseguitati in Medio Oriente arriva al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Venerdì al Palazzo di Vetro, a New York, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius presiederà un "dibattito aperto", a livello ministeriale, sulla situazione delle minoranze etniche e religiose sotto attacco nella tormentata regione. Anche il segretario generale Ban Ki-moon riferirà in prima persona e così farà in video-conferenza da Ginevra l'Alto Commissario per i Diritti Umani Zeid Ràad Zeid Al Hussein. Davanti al Consiglio parleranno il patriarca caldeo di Baghdad, mons. Louis Raphael I Sako, e Vian Dakhil, la parlamentare irachena della minoranza yazidi che nell'agosto scorso denunciò al mondo gli orrori dell'attacco subito dalla propria comunità da parte dell'Is nel nord dell'Iraq. È la prima volta che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedica un dibattito alla persecuzione dei cristiani e delle altre minoranze, sotto assedio da parte del fondamentalismo jihadista.La Francia, come presidente di turno, ha scelto di concentrarsi su questo tema a seguito delle angoscianti segnalazioni delle diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani da parte del sedicente Stato islamico, come l'assedio agli yazidi, con contorni da vero e proprio genocidio, i massacri di curdi, il sequestro di centinaia di cristiani assiri e caldei nel nord-est della Siria, la decapitazione di 21 uomini, tra cui 20 cristiani-copri egiziani in Libia. A spingere ad affrontare la questione, e quindi tra i temi sul tavolo, anche la deliberata distruzione da parte dell'Is di santuari religiosi, resti archeologici, così come il traffico di reperti d'arte per finanziare attività terroristiche. la Francia ha diffuso una specifica nota agli Stati membri in vista del dibattito.Il patriarca Sako porrà l'accento sulle sfide della comunità cristiana irachena nelle zone controllate dallo Stato islamico, sulla loro fuga da Mosul nell'agosto scorso sotto minaccia di morte se non si fossero convertiti all'islam o di pagare una "tassa religiosa", perdendo così tutti i loro beni, case, vestiti, trovando rifugio nel Kurdistan iracheno, nella zona di Erbil, dove tuttora sono profughi.   Dopo l'annuncio della Francia, all'inizio del mese, di convocare un'apposita sessione del Consiglio di Sicurezza Onu, è arrivata il 13 marzo - a rilanciare ulteriormente il tema - anche la dichiarazione congiunta presentata da Vaticano, Russia e Libano al Consiglio per i diritti umani di Ginevra e sottoscritta da 65 Paesi membri dell'Onu. "Chiediamo alla comunità internazionale - si legge nel testo - di sostenere la presenza di tutti le comunità etniche religiose che hanno profonde radici storiche in Medio oriente". Comunità "che vedono minacciata la loro stessa esistenza dal cosiddetto Stato islamico, da al-Qaeda e dai gruppi terroristici affiliati, sconvolgendo al vota di tutte queste comunità e creando il rischio di una scomparsa totale dei cristiani"."È in atto un genocidio" e "un'adeguata risposta da parte della comunità internazionale, che metta da parte interessi di parte per salvare vite umane, è un imperativo morale", è stato l'appello risuonato all'Onu Ginevra da parte dell'Osservatore permanente della Santa Sede, monsignor Silvano Maria Tomasi, in un discorso reso noto oggi, pronunciato alla 28/ma sessione del Consiglio per i Diritti umani.
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