lunedì 17 marzo 2014
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A poche ora dal varo delle sanzioni, per ora poco più che simboliche, da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti, la risposta di Vladimir Putin è stata tutt’altro che conciliante o timorosa. Via libera all’annessione della Crimea nella Federazione russa, irrisione delle mosse occidentali, ostentata sicurezza nella propria forza politica. Uno show anche a uso interno, quello svolto dal leader del Cremlino nell’aula della Duma martedì mattina, eppure eloquente anche per le cancellerie a Ovest di Kiev. Tutto ciò segnala ancora una volta che la partita giocata in Crimea è terribilmente seria. E potenzialmente foriera di sviluppi di portata ben più ampia rispetto al destino della piccola penisola affacciata sul Mar Nero. Non che i suoi due milioni di abitanti non meritino attenzione e rispetto. Il punto è ora capire quanto l’Occidente sia disposto a tollerare lo strappo di Mosca e di proseguire sulla strada delle misure di ritorsione, in un crescendo reciproco di colpi economici e diplomatici. Il referendum di domenica è tanto inequivocabile nel risultato quanto illegittimo secondo la Costituzione ucraina e senza dubbio affrettato e condotto sotto una neppure troppo velata minaccia delle truppe russe. Putin non sembra per nulla intenzionato a fare marcia indietro di fronte a una reazione non particolarmente forte e unanime di Ue e Stati Uniti. Ma se si agirà tramite la leva finanziaria e quella dei visti all’ingresso con misure massicce, costose anche per chi le assume, il Cremlino si troverà in difficoltà sul piano interno, con possibili contraccolpi sulla tenuta politica dell’attualmente inscalfibile potere del presidente e del suo clan. Forse Mosca si limiterà a incassare di fatto un punto, quello della Crimea, e accetterà un tavolo diplomatico con gli altri big del G8, senza provare a frazionare ulteriormente l’Ucraina. Ma ciò dipenderà in larga misura dall’unità dello schieramento occidentale, tentato da vie diverse nell’approccio alla crisi, legate agli interessi di ciascuna nazione. Come dimenticare infatti la dipendenza dal gas russo di alcuni Stati europei? Non si farà una guerra per Sinferopoli, ma il contrasto di potenza e di interessi economici tra la Russia, la Ue e l’America passa anche attraverso la Crimea. E, per ora, chi sta più rischiando, malgrado i successi di immagine, sembra proprio Putin, le cui “armi” sul lungo periodo sembrano meno efficaci e diversificate. Spingere sull’acceleratore dello scontro, al di là delle dichiarazioni roboanti, a Mosca non conviene. I prossimi giorni diranno quanto il Cremlino è disposto a tirare la corda.

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