mercoledì 6 marzo 2013
Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, il diirettore di Tg2000, Stefano De Martis e l'onorevole Santolini hanno consegnato all'ambasciatrice pachistana in Italia le firme raccolte per chiedere la liberazione della donna cattolica, condannata a morte sulla base della legge antiblasfemia. Tehmina Janjua: «Trasmetteremo al governo pachistano le preoccupazioni del popolo italiano per Asia Bibi»​. (di Luca Liverani)
​​​​​​​​​​​​​​​​​«Blasfemia, strumento di controllo sociale»​
​​​​«No alla parola minoranze»
Il video di Tv2000
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La mobilitazione di Avvenire per la libertà di Asia Bibi è arrivata al giro di boa. Le quasi 31mila firme pervenute in redazione – le ultime ancora nei giorni scorsi – sono state impacchettate in due scatoloni e in un cd-rom e consegnate alla massima rappresentante diplomatica pachistana. Ieri pomeriggio l’ambasciatrice della Repubblica islamica del Pakistan in Italia, signora Tehmina Janjua, ha ricevuto a Roma i promotori della campagna. Con il direttore di Avvenire Marco Tarquinio c’era l’onorevole Luisa Capitanio Santolini, presidente dell’"Associazione parlamentare Amici del Pakistan".Presente anche Stefano De Martis, direttore di Tg2000 che dal 2010 aveva lanciato una propria campagna di sensibilizzazione sul caso della madre cattolica condannata a morte sulla base della legge anti-blasfemia.«Il giudizio è in corso e non posso interferire – spiega Tehmina Janjua nella sede diplomatica – ma posso assicurarvi che queste firme saranno inviate alle autorità del mio Paese e che trasmetteremo le preoccupazioni del popolo italiano per Asia Bibi». Marco Tarquinio sottolinea che «la campagna di mobilitazione è nata dal basso, dai nostri lettori dopo la pubblicazione da parte nostra di un coinvolgente lettera di Asia. Ed è stata sottoscritta da cattolici, credenti in altre fedi, non credenti. Una motivata adesione è anche venuta dai vertici istituzionali: il premier Mario Monti e i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani. Conosciamo la complessità del Pakistan e gli ideali del suoi padri fondatori per un Paese accogliente». «Noi facciamo informazione costante su questi temi – aggiunge – mettendo in luce il lavoro delle personalità cristiane e musulmane che si impegnano in un cammino comune, perché quanto è nelle radici storiche del Pakistan, ne possa migliorare il presente e caratterizzare il futuro».L’ambasciatrice – regalando agli ospiti il volume fotografico “Chiese del Pakistan” sulla mostra esposta a febbraio alla Farnesina – sottolinea che «esistono molte incomprensioni sul Pakistan», Paese «ben più multiforme di quanto appaia sui mass media: qualcuno ci confonde infatti con le nazioni che nemmeno consentono la costruzione di chiese. La Costituzione pachistana afferma che ogni cittadino è uguale. Quello di cui c’è bisogno è che le leggi non vengano male interpretate o abusate».Tehmina Janjua ricorda i suoi studi in una scuola cattolica pachistana, il “Presentation Convent” della congregazione francese di Gesù e Maria, nota anche come gli Eudisti: «Non parliamo di “minoranza cristiana”, perché suona come una discriminazione interna: è responsabilità del governo e del popolo che anche loro vivano in pace». Oggi lo Stato affronta «un periodo difficile, il terrorismo nel nostro Paese, confinante con l’Afghanistan, ha provocato 40mila vittime tra i civili e 7 mila tra le forze di sicurezza. Ci auguriamo che il mondo e i Paesi amici apprezzino i nostri sforzi e siano al nostro fianco per respingere il terrorismo».L’onorevole Capitanio Santolini ricorda all’ambasciatrice che la condanna di Asia Bibi ha suscitato preoccupazione in molti Paesi europei e negli Stati Uniti, «danneggiando l’immagine del Pakistan e oscurandone gli aspetti positivi. Senza voler prevaricare la sovranità del vostro Paese– aggiunge – chiediamo che sia indicato un giudice e un tribunale in grado di decidere. Non è degno di un grande Paese come il Pakistan che Asia Bibi viva dimenticata in carcere in attesa del processo di appello». Tehmina Janjua è dell’idea che il caso vada «risolto come questione umanitaria». Poi precisa: «La maggior parte delle denunce di blasfemia viene presentata da musulmani contro musulmani: sono pochi i casi come quello di Asia Bibi». «Alla base del problema – secondo l’ambasciatrice – non c’è la discriminazione religiosa, ma la povertà: spesso le denunce sono l’esito di dispute su terreni e proprietà».
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