sabato 21 settembre 2013
​I terroristi del movimento qaedista hanno colpito nel cuore della capitale Abuja. Assalti nei villaggi e scontri a fuoco con l'esercito nel Nord. L'arcivescovo Kaigama: «Vanno fermati i fondi che arrivano dall'estero».
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Otre trecento morti in tre giorni, combattimenti a ridosso del Parlamento federale nella capitale Abuja e una capacità operativa senza precedenti. Gli elementi sono palesi da tempo, ma mai come in questi giorni il movimento qaedista di Boko Haram aveva dimostrato la propria potenza devastante. «Indubbiamente Boko Haram è ancora ben organizzato e ben armato nonostante l’offensiva militare condotta da mesi in tre Stati del Nord della Nigeria» conferma monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana. Nei mesi scorsi l’arcivescovo aveva manifestato speranze davanti all’apertura di credito da parte del governo di Goodluck Jonathan: una tregua e l’amnistia sembravano a portata di mano. Ora la situazione è cambiata, come le strategie. «Il problema – continua Kaigama con l’agenzia <+corsivo>Fides<+tondo> – è che Boko Haram non obbedisce alle regole della guerra convenzionale, ma agisce con tattiche di guerriglia. Questo significa che mentre l’esercito deve operare evitando di colpire cittadini innocenti, gli uomini di Boko Haram attaccano invece luoghi affollati di civili: mercati, scuole e luoghi di culto. Boko Haram non si fa assolutamente scrupolo di uccidere non combattenti innocenti».L’arcivescovo ribadisce anche un concetto che gli analisti da tempo sottolineano: «Boko Haram non è più un fenomeno locale. Non siamo più di fronte, come qualche anno fa, a gruppi di guerriglieri armati solo di archi e frecce, ma dobbiamo affrontare un’organizzazione ben finanziata» afferma. Tra i membri di Boko Haram vi sono persone abili ad utilizzare Internet, guerriglieri ben addestrati e gestori di un’efficace organizzazione logistica e di intelligence. «Le nostre autorità devono identificare da dove provengono i fondi e le armi che alimentano Boko Haram e dove i suoi uomini vengono addestrati, in modo da fermare le loro azioni».E questo infatti il problema numero uno che l’intelligence nigeriana non ha minimamente scalfito. Da oltre un anno è noto il legame tra la setta fondamentalista di Boko Haram e al-Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi). Così come gli aiuti che riceve per l’addestramento e le forniture di armi sofisticate. Stesso legame esiste anche con gli shabaab somali. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nonostante il coprifuoco che vige da mesi nella zona di Maiduguri e in molti “santuari” del Nord, i miliziani dimostrano di poter agire liberamente. Così ieri – per la prima volta dall’agosto del 2011 quando i kamikaze colpirono la sede dell’Onu ad Abuja uccidendo 24 persone – i guerriglieri hanno attaccato il quartiere dei deputati nella capitale: 8 morti, feriti e 12 miliziani catturati è stato il bilancio della sparatoria con la polizia. L’obiettivo della nuova strategia qaedista è noto: dimostrare l’insicurezza del gigante del petrolio africano agli occhi degli investitori stranieri. E a farne le spese sono quasi sempre i civili: almeno 143 persone erano morte martedì nella città di Benisheikh nello Stato settentrionale di Borno, con 150 case date alle fiamme e granate lanciate contro la sede locale del governo. Due giorni dopo l’offensiva dell’esercito contro una base dei guerriglieri aveva lasciato sul terreno almeno 160 vittime, 16 delle quali militari. Una drammatica contabilità, che – affermano in tanti – è destinata a salire perché lo scontro tra Boko Haram e la Nigeria è «entrato in una nuova fase».
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