sabato 17 marzo 2012
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​A un anno dalla morte, puntuale, un libro per ricordare Shahbaz Bhatti, come a dire che tutti i cristiani hanno l’obbligo di non dimenticarlo. Alla presentazione del libro di Roberto Zuccolini e Roberto Pietrolucci («Shahbaz Bhatti, Vita e martirio di un cristiano in Pakistan», edito dalle Paoline) è presente il fratello Paul che in qualche modo ne ha raccolto il testimone. Nella basilica di San Bartolomeo all’Isola – dove si presenta il volume – un anno fa, a un mese dall’assassinio a Islamabad, Paul Bhatti donò la Bibbia del fratello, lasciata adesso sull’altare dedicato ai martiri dell’Asia, dell’Oceania e del Medio Oriente. Oggi dice, anzi ripete, quella che è la sintesi del suo testamento spirituale: «Più volte gli avevo raccomandato di prestare attenzione alla sua incolumità, e di lasciare magari per un periodo di tempo il nostro Paese. La sua risposta era sempre la stessa: «Ho lasciato la mia vita nelle mani di Cristo». Shahbaz è un martire. Lo ricordano nella chiesa di Trastevere il cardinale Jean-Louis Pierre Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il ministro Andrea Riccardi e il nostro direttore, Marco Tarquinio. Il prelato ricorda la sua ultima intervista. Bhatti diceva: «So che mi uccideranno, ma io offro la vita per Cristo e per il dialogo religioso». «La parabola di Shahbaz – sottolinea il cardinale Tauran – dice che non esiste un cristianesimo senza la croce. Gli autentici cristiani saranno sempre scomodi ma non mancheranno di essere testimoni». Il direttore di Avvenire pure richiama un messaggio del martire pachistano: «Trovare le parole e trovare i giorni, per avvicinarsi e dialogare». «Siamo tutti un po’ minoranza – dice Tarquinio – soprattutto coloro che credono, e rischiano in questo modo di essere considerati una minoranza. Però siamo tutti chiamati a essere segno, a trovare parole che ci uniscono, che permettano ai credenti di intendersi e di capirsi». Non è facile la riconciliazione in Paesi martoriati, come noi raccontiamo quotidianamente. Oggi è la Siria, restano ferite come la prigionia di Asia Bibi, la cristiana madre di cinque figli in attesa della morte, che dura da 950 giorni, e domani chissà. Proprio ieri, nello stesso giorno in cui in Pakistan un’altra giovane donna è stata accusata di blasfemia, alle Nazioni Unite cinquanta attivisti per i diritti umani e personalità politiche di primo piano hanno rivolto una petizione al governo di Islamabad per la sua liberazione.Un libro, dunque, per non dimenticare, sottolinea poi Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e oggi ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione. «Shahbaz – dice Riccardi – è un nuovo martire. Martire è colui che non indietreggia di fronte ai pericoli e che non pone il limite all’amore nonostante le minacce. Shahbaz avvertiva l’ombra della morte, sentiva che era presente, ma non ha rinunciato al suo ministero».Cosa resta a un anno dalla morte di Shahbaz? «Con la sua breve ma intensa vita – scrivono gli autori – ci lascia un’eredità importante. Per i cristiani, perché si propone come modello, testimone della fede e martire. Ma anche per tutti. Il suo messaggio è infatti universale: in un mondo globalizzato e al tempo stesso diviso da nuovi muri, esso riguarda da vicino la sfida del convivere. Indica una strada percorribile, quella del dialogo, ingenua solo in apparenza, perché proiettata vero il futuro e verso la pace».
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