mercoledì 12 ottobre 2011
​Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte in Pakistan con l'accusa di blasfemia, avrebbe subito "torture" nel carcere di Sheikhupura, dove è detenuta. Lo rivela l'edizione online di The Express Tribune, che cita fonti vicine al caso della donna.
Il dolore e il vuoto di Luigi Geninnazzi
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Nuove violenze contro Asia Bibi, che sarebbe stata torturata nel carcere dove è detenuta dopo essere stata accusata di blasfemia.Secondo fonti locali riportate dal quotidiano pachistano The Express Tribune, la cattolica Asia Bibi, in attesa del giudizio d’appello dopo la condanna a morte comminata in prima istanza nel novembre 2010, sarebbe stata sottoposta a «tortura» da una secondina del carcere di Shaikhupura dove la donna si trova in una cella di massima sicurezza per timore che diventi vittima degli estremisti religiosi. Pretesto dei maltrattamenti sarebbe stato il possesso di oggetti non consentiti che la guardia, di nome Khadeeja, afferma di avere trovato nella cella della donna. All’episodio avrebbe assistito altro personale carcerario interrogato dagli inquirenti. Dopo un tentativo iniziale di copertura dei suoi subordinati, infatti, il sovrintendente del carcere, Sheikh Khalid Pervaiz ha sospeso Khadeeja e fatto aprire un’inchiesta nei suoi confronti.Un rapporto basato su un interrogatorio di Asia Bibi sarebbe stato inoltre trasmesso da un’agenzia di sicurezza al proprio quartier generale provinciale. In esso si sostiene che l’episodio è dovuto alla negligenza dell’amministrazione carceraria, ma vi si legge anche il timore che la situazione di Asia Bibi – madre di cinque figli che dal 2010 vivono in clandestinità assieme al padre per timore di ritorsioni – possa sfuggire di mano, con rischi concreti per la sua vita. Le precarie condizioni di salute della detenuta, più volte rese note da quanti si occupano della sua difesa e dell’assistenza in carcere, da tempo suscitano preoccupazione, come pure le minacce e le fatwa che pendono sulla sua testa. L’episodio di tortura reso noto dal quotidiano pachistano, rende ancora più chiaramente la difficoltà di garantire l’incolumità della prigioniera, nonostante l’attenzione internazionale sulla sua vicenda e l’impegno della Chiesa e della comunità cattolica locale. Tutto ciò mentre in Pakistan l’estremismo islamista e avvocati di grido da esso finanziati cercano una scappatoia che consenta all’assassino del governatore della provincia del Punjab – che si era impegnato nella difesa di Asia Bibi – di salvarsi dalla pena capitale, pagando un “prezzo di sangue” secondo la giurisprudenza islamica. L’omicida reo confesso del governatore Salman Taseer assassinato il 4 gennaio scorso, potrebbe infatti ritrovare presto la libertà, nonostante una condanna a morte emessa il primo ottobre, immediatamente segnalata come persecutoria dai gruppi radicali islamici che, al contrario, considerano addirittura «eroica» l’azione dell’omicida. La Corte di Appello di Islamabad ha dichiarato l’ammissibilità del ricorso in appello preparato dagli avvocati di Mumtaz Hussain Qadri e ha anche sospeso la sentenza di condanna a morte emessa dal Tribunale antiterrorismo di Rawalpindi, fino all’esito del processo di appello, iniziato l’altro ieri.Il tentativo dei difensori – come ricorda l’agenzia Fides – è di dichiarare il Tribunale antiterrorismo «non competente per un difetto di giurisdizione» (perché Qadri non sarebbe un terrorista...) e chiedere all’Alta Corte di Islamabad la liberazione di Qadri dopo il pagamento del diyat (il cosiddetto “prezzo del sangue”), per cui l’omicida può risarcire la famiglia della vittima con una somma di denaro, ottenendo il “perdono”. In questo modo, sostengono gli attivisti cattolici, sarebbe rispettata la forma della legalità, con una condanna a morte utile (anche se sempre deprecabile) a tacitare la comunità internazionale, ma nello stesso tempo sarebbe concessa la libertà a Qadri, così come chiedono gli estremisti musulmani.
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