mercoledì 13 maggio 2015
Un tempo simbolo della convivenza e culla del cristianesimo. Nel 2014, 135 i palazzi storici distrutti.
Parla il patriarca copto Tawadros
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Per Aleppo è in corso da alcuni mesi una lenta, ma terribile, agonia. Prima della guerra il polmone economico e culturale della Siria raggiungeva, con il suo hinterland, quasi 4 milioni di abitanti; ora si pensa che sia rimasto circa un milione. Un esodo che provoca un inestimabile danno al tessuto sociale di una metropoli che si è sempre distinta per il suo pluralismo etnico-religioso. Senza poi dimenticare l’enorme danno a un patrimonio culturale che sta scomparendo davanti ai nostri occhi. Il rapporto pubblicato alla fine del 2014 dall’Istituto dell’Onu per la formazione e la ricerca (Unitar) dava il triste primato del degrado proprio ad Aleppo: 135 edifici storici completamente distrutti o parzialmente danneggiati su un totale di 290 siti di interesse archeologico, storico e culturale esaminati in tutto il Paese, seguita a grande distanza da Damasco (con “solo” 29 siti). Ma Aleppo è soprattutto un mosaico di fedi religiose che hanno convissuto per secoli. Basta pensare al famoso Codice di Aleppo, il più antico manoscritto della Bibbia ebraica, che ha ispirato Maimonide e che un discendente del medico filosofo ha portato, alla fine del Trecento, proprio in questa città siriana dove fu conservato in una piccola cripta scavata nella roccia. Aleppo ha un’importanza senza pari nella storia del cattolicesimo orientale. È qui che François Picquet, un console di Francia ordinato successivamente vicario apostolico, ha potuto guadagnare con la sua pietà la stima della popolazione cristiana locale, riportando a Roma molti scismatici. Così, nel 1662 ottiene dal sultano ottomano la nomina di un ex vescovo giacobita a primo titolare della nuova “Chiesa siro-cattolica”. Nelle “Mémoires” lasciate nel 1676 dal viaggiatore e diplomatico francese Laurent d’Arvieux si fa menzione di «cinque nazioni cristiane» che risiedono nella città: 6mila greci, 5mila armeni, 4mila siriaci, 1.500 maroniti e un numero imprecisato di cattolici latini, oltre a 3mila ebrei. D’Arvieux, che ha trascorso ben 12 anni della sua vita spostandosi tra gli scali del Levante e studiando le lingue locali, parla di case di quattro diversi ordini religiosi latini ad Aleppo: frati minori, gesuiti, cappuccini e carmelitani scalzi, che svolgono una missione di istruzione e catechesi presso le comunità orientali. Ma non solo, come dimostra la vicenda del gesuita Joseph Besson, morto nel 1691 mentre assisteva gli appestati della città. I cristiani hanno continuato a rappresentare una buona percentuale della popolazione aleppina. Nel censimento ottomano effettuato nel 1914, i cristiani di ogni confessione totalizzavano circa 23mila fedeli a livello dell’intero caza (distretto, ndr), circa il 18 per cento della popolazione. Il genocidio armeno avvenuto da lì a poco ha successivamente contribuito a gonfiare la cifra, visto che le stime del 1928 – allorché tutta la Siria era sotto mandato francese – davano un totale di 77mila cristiani circa (contro 110mila musulmani e 6.500 ebrei) così distribuiti: 45mila armeni gregoriani, 6.500 armeni cattolici, 9mila greco-cattolici, 3.750 greci-ortodossi, 3.500 siro-cattolici, tra 2mila e 2.900 siro-ortodossi, 1.100 maroniti, 1.500 caldei, 1.350 latini e 3mila protestanti, senza considerare 8.600 famiglie di profughi armeni, residenti in tre accampamenti nei pressi della città. Fino alla vigilia della guerra in Siria, Aleppo rappresenta, con i suoi 250mila fedeli e le sue 45 chiese, un importante polo del cristianesimo locale. Oggi, una buona metà di loro (che viveva principalmente nei quartieri di Azizia, Suleimaniya, Midan e Sabil) è stata costretta a scappare a causa dei continui scontri. Strade vuote, negozi abbandonati, edifici crollati e macerie sono diventati lo scenario desolante di un centro un tempo nevralgico. Una città simbolo dell’antica convivenza si spegne lentamente tra la nostra indifferenza.
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