martedì 27 settembre 2016
Colombia, l'arcivescovo: «Un giorno di gioia»
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È un giorno di gioia per le vittime di 52 anni di guerra. La pace, firmata qui a Cartagena, è anche una loro vittoria. Perché quest’ultima non significa impunità, come spesso è accaduto in altri conflitti che hanno insanguinato l’America Latina. Al contrario, gli accordi hanno previsto un sistema di giustizia transizionale che riconosce il dolore dei troppi colpiti». Lo scorso inverno, monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja, presidente della Conferenza episcopale colombiana e della Commissione di conciliazione nazionale, ha fatto su e giù tra Bogotà e l’Avana per sei mesi. Il pastore – missionario della Consolata e impegnato per decenni sulle frontiere della guerra – era stato incaricato di moderare i confronti tra le vittime e le delegazioni riunite a Cuba per i negoziati. Così gli è toccato accompagnare – a gruppi di dodici alla volta –, uomini e donne le cui vite erano state, in diversi modi, sfregiate dal conflitto. Dall’esperienza è nato il libro, El corazón de las víctimas (Il cuore delle vittime), appena pubblicato dalla Commissione, che si aggiunge alla vastissima biografia di monsignor Castro Quiroga, teologo, filosofo, spe-« cializzato sul tema della riconciliazione.Che cosa ha imparato nei viaggi all’Avana?Ho visto con i miei occhi il grande percorso spirituale compiuto dalle vittime, incontro dopo incontro. Al principio, percepivano il proprio dolore come unico ed enorme, pertanto insopportabile. Ascoltando i racconti degli altri undici, cominciavano a rendersi conto di essere parte di un dramma comune. Al risentimento, si andava sostituendo il desiderio di chiudere questo capitolo sanguinoso. E di poter costruire la pace.Eppure chi guida la campagna per il «no» al referendum di domenica prossima – con cui i colombiani decideranno se ratificare l’accordo faticosamente raggiunto – dice di farlo nel nome delle vittime. Perché queste non debbano vedere i propri carnefici – in primis le Farc – liberi e impuniti...Chi si oppone alla pace non rappresenta le vittime. C’è un settore politico che ha trovato nel no all’accordo un modo per conquistare consensi e ottenere voti. A questo si sommano quanti pensano che la fine del conflitto danneggi i loro interessi economici. Perché il dopo guerra dovrà prevedere una profonda trasformazione del Paese. A partire dalla redistribuzione delle proprietà agricole. Tuttora il 4 per cento dei colombiani possiede la metà delle terre. A tanti, fra latifondisti e grandi allevatori, dunque, la pace fa paura. Tra i contrari all’accordo, infine, ci sono anche persone comuni che non hanno compreso il sistema di giustizia elaborato per trovare un equilibrio tra riparazione e riconciliazione.In che cosa consiste tale sistema?Ai responsabili di crimini contro l’umanità che riconoscano le proprie colpe, chiedano perdono e contribuiscano alla ricerca della verità, verranno concessi ampi sconti di pena. E’ il fondamento della giustizia transizionale, che mette al centro la vittima e la sua esigenza di riparazione piuttosto della punizione del colpevole. Quanti, però, si rifiuteranno di ammettere le proprie responsabi-lità, saranno giudicati con il sistema tradizionale.Che cosa accadrà con il referendum del 2 ottobre?La Chiesa è stata in prima linea per la pace. Il contributo di papa Francesco, con i suoi appelli, è stato fondamentale. In ambito nazionale, abbiamo lavorato soprattutto con le vittime. I vescovi, però, non hanno dato indicazioni di voto. Hanno esortato i colombiani, però, a scegliere in base alla propria coscienza. I sondaggi danno, comunque, il «sì» agli accordi in vantaggio.Immaginiamo che vinca…A quel punto si aprirà, finalmente, il dopoguerra. Un processo lungo – ci vorranno almeno 10 anni – di riorganizzazione. Politica, in modo da rendere il sistema più inclusivo. Non dimentichiamo che l’esclusione è alla radice del conflitto. Economica, per rendere il Paese meno diseguale. Culturale ed educativa. La sfida è grande. La Colombia, però, ha voglia di affrontarla.
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