martedì 28 aprile 2015
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Il Nepal, che presenta uno scenario di arretratezza che ha anche ragioni nell’instabilità politica e disomogeneità culturale, ha accumulato nella storia un immenso patrimonio di architetture, arte, tradizioni. Espressione sia della frammentazione politica che lo ha sempre caratterizzato, sia delle architettura e iconografia religiose di ispirazione induista e buddhista. Le parti antiche delle sue varie capitali, tutte concentrate nella valle di Kathmandu, cuore del potere temporale religioso del paese, non hanno retto al sisma di sabato. Non solo Durbar Square (la Piazza della corte) di Kathmandu, con l’iconica torre Dharahara ridotta in macerie schiacciando forse 200 visitatori e con gli edifici circostanti gravemente danneggiati. Le omologhe piazze delle antichi centri di Patan e Bhaktapur, nei dintorni della capitale hanno subito gravi danni, ma nessuno dei sette siti della valle designati dall’Unesco come “patrimonio dell’umanità” è stato risparmiato. Una sorte che accomuna vestigia indù, buddhiste e dei culti autoctoni, meta di turisti e studiosi da tutto il mondo. Distrutto in buona parte il tempio di Bodhnath, al centro della venerazione dei tibetani della diaspora, e devastato, su un’altura che sovrasta Kathmandu, quello di Swayambunath, il più antico monumento buddhista della capitale. Dei siti restanti, quello indù di Changu Narayan, dedicato a Vishnu, ha riportato danni consistenti, mentre è stato risparmiato il complesso shivaita di Pashupatinath, la Benares del Nepal, che sulle rive del fiume Bagmati da quindici secoli ospita pellegrinaggi e cremazioni.
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