martedì 30 settembre 2014
Rapiti nelle Filippine. I jihadisti: «Berlino lasci la coalizione». Primi raid britannici sull'Iraq. Carri turchi sul confine con la Siria.
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Anche la Germania, dopo la tragica fine la scorsa settimana della guida francese Hervé Gourdel, piomba nell’incubo ostaggi. Ieri i due tedeschi rapiti in aprile nelle Filippine dai terroristi islamici di Abu Sayyaf hanno lanciato un appello al governo tedesco, perché faccia ogni sforzo per liberarli.  «Spero che il mio governo faccia tutto ciò che è in suo potere per ottenere la mia libertà », ha dichiarato a una radio a Zamboanga City un uomo che si è qualificato come medico. «Ho paura per la mia vita», ha aggiunto l’ostaggio, Stephan Okoveix, che ha 74 anni. Simile il messaggio del secondo ostaggio, Henrike Diesen di 55 anni: «Siamo in una situazione difficile. Facciamo appello al governo tedesco e a quello delle Filippine affinché facciano tutto ciò che è in loro potere», ha aggiunto la donna. Abu Sayyaf ha minacciato di decapitare i due cittadini tedeschi se non otterrà un riscatto di oltre 4 milioni di dollari entro il 10 ottobre. Un ricatto di natura economica, ma che corre lungo la rete del jihadismo internazionale: i terroristi chiedono infatti che la Germania tolga il suo sostegno dalla coalizione internazionale conto l’Is in Iraq e Siria. Un portavoce di Abu Sayyaf, ha ribadito che se non verrà pagato il riscatto e se la Germania continuerà a sostenere i raid aerei contro i jihadisti in Siria ed Iraq, il 10 ottobre «decideremo del destino dei due ostaggi ». Berlino, che da tempo ha attivato una unità di crisi, ha replicato che la strategia contro lo Stato islamico non cambierà. Anche le Filippine hanno replicato che non negozieranno con Abu Sayyaf. Nei giorni scorsi su Twitter era apparso un video in cui venivano mostrati i due ostaggi circondati da militanti con il volto coperto e armati, tra cui uno con un machete. La coppia tedesca era stata sequestrata lo scorso aprile mentre era a bordo di uno yacht tra il Borneo malese e le Filippine meridionali nell’aprile scorso, ma solo la scorsa settimana il gruppo fondamentalista che agisce nel Sud delle Filippine, aveva chiesto un riscatto mostrando solidarietà con i jihadisti dello Stato islamico in Siria e Iraq.  Intanto ieri i jet britannici hanno compiuto il primo raid in Iraq, vicino a Mosul, nel nord del Paese. Quattro giorni fa il Parlamento di Londra aveva autorizzato i raid contro lo Stato islamico, ma solo sull’Iraq.  Proseguono i combattimenti pure sul fronte siriano. I caccia statunitensi hanno colpito il più importante sito di gas in mano ai miliziani nella zona di Deir Ezzor, nella parte orientale della Siria. Il raid è stato lanciato alla mezzanotte di ieri contro il giacimento di Kuniko. Sono state colpite anche postazioni intorno alla città di al Raqqa e nella provincia di Aleppo.  Sempre ieri carri armati e veicoli blindati turchi hanno preso posizione su una collina al confine siriano per controllare la situazione a Kobane, dopo che due proiettili di cannone esplosi dai militanti dell’Is sono finiti in territorio turco. A Kobane cinque civili sono stati colpiti da un colpo di artiglieria dello Stato islamico. Da giorni l’enclave turca in Siria è contesa tra gli jihadisti e i militari curdi. Infine in Iraq almeno 60 miliziani dell’Is sono rimasti uccisi ieri a Jurf al Sakhar, a nord di Babilonia, in un raid dell’aviazione irachena. Dall’inizio dei raid a Mosul, almeno 350 jihadisti sono rimasti uccisi e 450 feriti.
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