domenica 29 maggio 2016
Carestia per 330 milioni di persone, contadini suicidi per debiti. Moltiplicati gli abusi contro le donne, le più indifese assieme ai dalit. «Oltre 160 milioni i bambini a rischio».
Siccità e violenze, l’India piagata
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Ipiù poveri, i diseredati, coloro già abitualmente in stato di precarietà o sfruttamento subiscono pesantemente in India le conseguenze del clima. La siccità associata a temperature eccezionalmente elevate ha colpito 330 milioni di indiani, oltre un quarto della popolazione complessiva in 13 dei 29 Stati e territori in cui è diviso amministrativamente il Paese. Con conseguenze letali. Si stima che nella regione di Marathwada, parte dello Stato occidentale del Maharashtra che ha come capitale Mumbai, cuore commerciale ed economico del Paese, almeno 400 contadini si siano suicidati dall’inizio dell’anno perché incapaci a far fronte a debiti, fame e vergogna per il mancato arrivo del monsone invernale.  Ancora una volta, il fardello più pesante è caduto soprattutto sui dalit e sulle minoranze etniche e tribali e, all’interno di queste aree già di marginalità sociale, sulle donne. Sono loro a subire l’impatto crescente dell’emergenza. Una conferma arriva da Varsha Deshpande, attivista per i diritti delle donne nel Maharashtra: «Gli abusi contro le donne crescono con la siccità. Molte sono costrette a prostituirsi, uomini chiedono doti maggiori per compensare il minore reddito. Crescono anche gli omicidi per dote se le donne non sono in grado di concepire per lo stato di prostrazione. Assistiamo a anche a un incremento dei matrimoni infantili con i quali i genitori cercano di assicurare alle figlie una qualche sicurezza, ma anche del lavoro minorile». Cresce il numero delle violenze carnali, anche di minorenni, costrette a percorrere molti chilometri al giorno per trovare acqua necessaria per la famiglia o lasciate a custodire la casa dai genitori. Tante in età scolare sono costrette a abbandonare le aule per cercare acqua o occuparsi dei fratellini o sorelline mentre la madre va alla ricerca del prezioso liquido. «Le donne sono le prime alzarsi, percorrono le distanze maggiori, ultime a alimentarsi e senza adeguato riposo. Una situazione che pone a rischio la salute, il ciclo mestruale e la capacità riproduttiva», ha segnalato ancora l’attivista Deshpande alla Thomson Reuters Foundation.  Uno scenario da incubo, dove saltano regole e morale, che si estende a una intera società agraria già in condizioni normali sottoposta a pregiudizi e sopraffazioni da parte delle caste elevate e di interessi economici. Molti uo- mini infatti abbandonano le famiglie per cercare lavoro altrove e se restano nelle campagne arrivano a sposare donne diverse pur di garantirsi un approvvigionamento adeguato di acqua. Al punto che è stato coniato il termine “paanwaali bai”, “moglie dell’acqua”, ovvero una poligamia di fatto che nega alla donna qualsiasi tutela stante l’illegalità della pratica. A spingere il governo centrale guidato da Narendra Modi a dichiarare lo stato d’emergenza nelle aree più siccitose è intervenuto nei giorni scorsi anche il Premio Nobel per la Pace Kailash Satyarthi. Sono 160 milioni i bambini a rischio, ha sottolineato Satyarthi, paladino dei diritti dei minori. L’atteggiamento definito «da struzzo» di diversi governi locali, inefficienti ad affrontare la crisi, è stato apertamente criticato dalla Corte Suprema. Nello Stato del Maharashtra che per la vicinanza culturale e politica con nazionalisti filo-induisti a potere a New Delhi è una fucina della prospettive del Paese, il premier del governo locale Devendra Fadnavis ha chiesto alle banche di avviare programmi di credito per i piccoli agricoltori e ha chiesto ai funzionari pubblici di vigilare affinché nessuno resti escluso.  Non uno scrupolo inutile, dato che – anche quando le autorità si muovono – molte delle misure avviate non arrivano ai più emarginati, ai dalit senzaterra che predominano tra la popolazione colpita. «La maggior parte dei dalit lavorano in cambio di parte del raccolto, il loro nome non risulta nei registri dei proprietari terrieri e quindi anche nelle emergenze sfuggono ai programmi di assistenza governativi – conferma Rajesh Singh, esponente dell’organizzazione National Dalit Watch –. Sono emarginati per prassi e per volontà, non sono inclusi nei censimenti e i contadini di alta casta in combutta con i funzionari locali negano loro strumenti di compensazione come impieghi pubblici e cibo a prezzi calmierati», sottolinea Singh, il cui gruppo ha analizzato la discriminazione presente in tutti gli eventi naturali devastanti successivi allo tsunami del 26 dicembre 2004.
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