venerdì 10 agosto 2012
​Negli Istituti vivono circa 70mila giovani senza famiglia. Altri vagano sbandati. L'impegno dei volontari accanto alle giovani madri in difficoltà è altissimo. Ma il dramma resta: i ragazzi di strada sono circa 2mila, in un Paese che dal 2009 ha visto crollare il Pil del 9%.
Vita da clochard in una città malata d'indifferenza
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Oggi si gioca a calcio nel cortile di Ghimbau. Maschi e femmine, tutti insieme, inseguono un pallone in mezzo allo spelacchiato campetto dell’Istituto per bambini abbandonati. A consigliarli su come toccare la palla sono i volontari dell’Inter Campus, i ragazzi arrivati da Milano, per tenere dei seminari di calcio che l’Inter Fc organizza per i ragazzini disagiati in giro per il mondo. I bambini di Ghimbau sorridono, dentro le loro belle casacche nerazzurre. Tutti hanno già delle pesanti condanne penali sulle fragili spalle, l’Istituto ospita ragazzini che hanno commesso gravi crimini. Furti. Stupri. Omicidi.Siamo alle porte di Brasov, in Transilvania. Ghimbau è solo uno dei mille istituti sparsi in tutti i distretti della Romania. Dentro ci vivono circa 70mila ragazzi abbandonati dai genitori. Un oceano di bambini spinti dal proprio destino ai margini della società e di una vita normale, che disegnano, con la loro presenza, un grande buco nero nella coscienza della Romania e di tutta l’Unione Europea. Il loro numero negli anni non diminuisce. Anzi, dopo la crisi economica del 2009 che ha travolto il Paese, aumenta. Nella sola città di Brasov, per esempio, ogni mese vengono abbandonati all’ospedale pediatrico dieci bambini. Ma il fenomeno è estesissimo in tutta la Romania dove, secondo l’Unicef, il numero dei neonati lasciati nelle culle, tra reparti di maternità e di pediatria, tocca le 9mila unità ogni anno. «Sono figli di madri spesso giovanissime, senza marito, che vengono dai villaggi rurali e non hanno soldi per crescere i loro piccoli. Vivono sotto la soglia di povertà e di solito non hanno frequentato la scuola e sono analfabete», racconta Lidia Dobre, dell’associazione Inima pentru Inima, formata da un team di psicologhe e dottoresse che vanno nelle campagne e nelle periferie a fare prevenzione. Parlano con le giovani in procinto di partorire che, per condizioni economiche e sociali, sono a rischio abbandono. O convincono chi si è staccata dal figlio a tornare sui propri passi e riprendersi il piccolo dato alla luce. Alle ragazze viene consigliato di fare domanda per i sussidi statali, anche se i pesanti tagli al welfare post-crisi ne hanno complicato gli accessi.Fra i paesi dell’Est, la Romania detiene ancora il triste primato dell’abbandono minorile. La crisi nel 2009, coi suoi 700mila posti di lavoro andati in fumo, ha travolto le fasce sociali più deboli e ha dato nuova linfa a un fenomeno che in Romania ha radici profonde. Durante gli anni di Ceausescu le famiglie erano invogliate, quasi spinte dallo Stato ad affidare la prole agli istituti per minori. La dittatura puntava a crescere le nuove generazione secondo i propri dettami, per creare «l’uomo nuovo», il cittadino perfetto. Oggi invece è la povertà a spingere madri sole e confuse all’abbandono. Oltre alle case famiglia e ai centri diurni, il Ministero per la protezione sociale oggi punta molto sull’affidamento alle «assistenti materne», come dire delle balie dei nostri giorni che si occupano dei ragazzi in cambio di un sussidio mensile. «Ma è una forma di assistenza con molte ombre – spiega Lidia Dobre – certe balie guardano solo ai finanziamenti e al primo problema portano i ragazzi negli istituti». Dal 2005 una legge vieta anche le adozioni internazionali. Decisione presa dopo che sono state perse le tracce di 1500 bambini adottati in Usa, Svizzera, Spagna e Italia. Le agenzie straniere che avevano fatto da intermediare nella procedura di adozione non hanno mai inviato alle autorità romene rapporti di monitoraggio, nonostante ne avessero l’obbligo.I bambini di Ghimbau, come quelli delle altre mille case famiglia disseminate in tutti i distretti del paese, passano le loro giornate fra la compagnia degli assistenti sociali e i risvegli nei dormitori, circondati da mura adorne solo di qualche disegno in cui sagome di figure umane inseguono scheletrici aquiloni. La paura di uscire dagli istituti e affrontare il mondo – spiegano gli operatori sociali – blocca le gambe. Ma a 26 anni bisogna uscire, è l’età limite per rimanere fra le braccia dello Stato. Fuori, la disoccupazione giovanile dopo la crisi del 2009 è salita al 25 per cento. Le prime persone a cui rivolgersi sono spesso gli ex compagni di dormitorio più adulti. Fra questi, c’è chi è finito in strada o nella criminalità. La cronaca del nostro paese continua a documentare casi di traffico di esseri umani dalla Romania. Con giovanissimi che, usciti dagli istituti, finiscono a prostituirsi lungo le strade delle città italiane.
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