martedì 13 marzo 2012
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​Un volano che crea sviluppo e interrompe il vortice della miseria. Portare acqua potabile dove manca o è inaccessibile è strategico per battere la sete, ma anche per portare più salute, istruzione e reddito. Una convinzione che ha spinto Caritas italiana e due ong aderenti alla Focsiv, la federazione degli organismi di ispirazione cristiana, a mettere in atto progetti di accesso e approvvigionamento idrico.«Il problema principale – sottolinea Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana – è portare ai poveri acqua potabile per prevenire malattie intestinali spesso letali e stimolare l’agricoltura». Ad esempio l’area rurale di Marin, ad Haiti, una delle zone più arretrate del pianeta – devastata dal terremoto del 12 gennaio 2010 – ha cambiato volto grazie all’acquisto, finanziato dalla Caritas, di un sistema d’irrigazione. La terra in apparenza era arida, nonostante il fiume Artibonite fosse a meno di un chilometro. Quindi regnavano miseria, fame ed era costante l’esodo dei contadini verso Port au Prince. Le pompe hanno reso fertili 80 ettari di terra, per ora coltivati a fagioli e melanzane. Tra poco verrà seminato il mais.«In prospettiva – conclude Beccegato – il progetto permetterà di intraprendere iniziative generatrici di reddito, rendendo l’ambito familiare più stabile».Da 45 anni l’Lvia, storica ong cuneese, è impegnata in progetti idrici in paesi africani come Kenya, Etiopia, Tanzania, Burkina Faso e  Senegal. Dal 2003 ha lanciato la campagna nazionale di sensibilizzazione «Acqua e vita». Sul campo lavora con diocesi, ong e governi locali e, visto il ritiro del governo italiano dalla cooperazione, con finanziamenti dell’Ue. «L’approvvigionamento – spiega Sandro Bobba, il presidente –  ricade su donne e bambini, che camminano per ore con taniche da 15 litri e che quindi non possono lavorare né andare a scuola».Lo scorso autunno Lvia ha compiuto un intervento d’emergenza contro la siccità nel nord del Kenya, nel distretto di Meri, non lontano dal confine etiope.«A settembre erano rimaste attive tre fonti – ricorda Bobba – che servivano 10-15 mila persone in una zona di pastori interessata dall’immigrazione delle vittime somale della siccità. Abbiamo allora prelevato l’acqua dai pozzi trasportandola con autobotti». A novembre la siccità si è interrotta, per le piogge abbondanti. Ma il problema dell’inaccessibilità della risorsa idrica non si è risolto.  «Abbiamo distribuito fino al mese scorso alle famiglie kit per la potabilizzazione – conclude Bobba –  e abbiamo presentato progetti per riabilitare pozzi già presenti».Quello della riabilitazione dei pozzi è un problema diffuso. Il Movimento di lotta alla fame nel mondo, ong lodigiana che lavora in diversi paesi africani da 30 anni, specializzata nel problema idrico, sta ad esempio ripristinando la rete di Iringa, in Tanzania.«Qui pozzi e condutture realizzati 30-40 anni fa dalla cooperazione – spiega il presidente Natale Andena – non sono stati curati perché il personale locale non è stato formato. Con la diocesi, le autorità distrettuali e un contributo Ue, ripristineremo la rete allacciando i centri di interesse pubblico come scuole, parrocchie e attiveremo 260 fontane per le famiglie. Vuol dire che i bambini potranno andare a scuola e non a prendere taniche d’acqua». Un esperto di formazione dell’ong lombarda curerà corsi per i tecnici locali per non disperdere una seconda volta l’oro blu.
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